Alla veneranda età di 72 anni Massimo D'Alema si riscopre ingenuo. Sorpresa. La storia della trattativa per la vendita di armi alla Colombia (sommergibili, navi e aerei prodotti dalle aziende italiane Leonardo e Fincantieri e destinate alla Colombia) rivela un lato inedito, sconosciuto, quasi fanciullesco, del lider maximo: l'ingenuità. Anche un freddo leader politico, capace di guidare prima il partito erede della tradizione comunista e poi l'Italia da Palazzo Chigi, scivola sulla buccia dell'ingenuità. I giornali lo dipingono ingiustamente come un faccendiere spregiudicato, un lobbista affamato, che tratta una fornitura di armi dall'Italia alla Colombia, che potrebbe fruttare (per i mediatori) una provvigione di 80 milioni di euro. Nulla di più falso. È un racconto distante dalla verità. Nulla di più infamante.
D'Alema, l'ultimo moicano della stagione comunista, in questa trattativa ci è finito per un eccesso di leggerezza. Ha peccato di superficialità. Chiede perdono. Capita a tutti. Capita agli sprovveduti. Figuriamoci se non possa capitare anche a un ex presidente del Consiglio (D'Alema). A chi (D'Alema) ha guidato il comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti (Copasir). A un ex ministro degli Esteri (D'Alema). Capita, eccome, a chi (D'Alema) per anni si è costruito la fama di politico scaltro e astuto. Sì, proprio D'Alema, il miglior erede del cinismo togliattiano, ha commesso un errore di ingenuità. I suoi detrattori non crederanno mai al peccato di ingenuità. E continueranno il martellamento. Ma D'Alema non ha dubbi: è andata proprio così. Una semplice leggerezza. In una lunga intervista concessa a Tommaso Labate per il Corriere della Sera - l'ex presidente del Consiglio ammette il passo falso. Gli accusatori vorrebbero inchiodarlo su un punto: la conversione avuta con Edgar Fierro, ex paramilitare condannato a 40 anni per omicidi vari, per discutere della compravendita di armi. Il lider maximo scende dalle nuvole. Che ne poteva sapere del passato criminale del suo interlocutore? La spiegazione è semplice. Quanto banale. D'Alema non ha avuto il tempo di controllare (nemmeno su internet dove c'è materiale in abbondanza) il curriculum del suo interlocutore: «Non ho controllato il curriculum del mio interlocutore. Mi hanno detto che era un senatore. Non c'è dubbio che in questa vicenda ho peccato di mancanza di cautela. Le imprese italiane, invece, hanno agito in modo assolutamente corretto e prudente».
Ecco, puntuale, arriva la difesa che smonta la narrazione infamante: la mancanza di cautela. Potrebbe capitare a tutti gli ex presidenti del Consiglio confondere un ex terrorista del calibro di Cesare Battisti con il senatore Vito Crimi. È capitato anche a D'Alema. Non c'è nulla di male. Perché crocifiggerlo? Il leader "accusato" dei più famosi complotti politici della storia italiana, dalla caduta di Prodi alla congiura contro Renzi, è stato semplicemente uno sprovveduto. D'Alema dopo settimane di accuse, si difende: «Non ho fatto nulla di illecito o poco trasparente. Sono anzi tra quelli che hanno più interesse a fare chiarezza su tutti i punti oscuri di questa storia, come la registrazione illegale». L'ex leader dei Ds spiega come è finito dentro la trattativa: «Si è presentato da me un imprenditore salentino che conoscevo da anni, Giancarlo Mazzotta. Mi dice che conosce due consiglieri del ministero degli Esteri di Bogotà che potevano dare una mano a promuovere attività italiane in Colombia».
Forniture militari? «Anche». Ora liberato il campo dall'accusa (contro D'Alema) di essere uno spregiudicato faccendiere, c'è la Procura di Napoli che indaga. D'Alema non è indagato. Ci mancherebbe: la superficialità non è punita dal codice penale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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