
Durante guerre e disordini può succedere che colpi d'arma da fuoco sparati dalle parti in conflitto incrocino o blocchino l'attività di diplomatici e giornalisti. Ma se quegli spari arrivano all'indomani di pressioni diplomatiche esercitate sul Paese che ha aperto il fuoco la faccenda si fa grave e seria. Non a caso la sparatoria con cui un'unità dell'esercito israeliano ha bloccato ieri una delegazione di 25 diplomatici europei, arabi, cinesi, giapponesi, indiani e di altre parti del mondo ha innescato - soprattutto in Europa - la decisa reazione di molte cancellerie tra cui quella italiana.
Ma partiamo dai fatti. Tutto inizia nel primo pomeriggio di ieri quando il piccolo corteo di diplomatici - in cui si trova anche il vice console italiano Alessandro Tutino - s'incammina verso l'entrata del campo profughi di Jenin, una delle aree più calde della Cisgiordania da sempre focolaio di scontri tra l'esercito israeliano e le formazioni armate di Fatah e Hamas. All'improvviso, come documenta un video diffuso dal ministero degli Esteri palestinese, si sentono risuonare i primi colpi. Nel video s'intravvedono anche due militari in divisa israeliana appostati dietro un alto cancello metallico che puntano le armi contro la delegazione. Quanto basta per seminare il panico tra i diplomatici che, spaventati e intimiditi, cercano riparo ai lati della strada e decidono poi di sospendere la visita. Il ministero degli Esteri palestinese coglie l'occasione per attaccare duramente Israele e guadagnarsi la solidarietà internazionale. «La delegazione svolgeva una missione ufficiale per osservare e valutare la situazione umanitaria e documentare le violazioni perpetrate dall'esercito israeliano - dichiara l'Autorità Palestinese - il governo israeliano è pienamente e direttamente responsabile di questo attacco criminale, tali atti non passeranno inosservati».
Subito dopo l'esercito israeliano diffonde un comunicato in cui liquida il tutto come un banale incidente dovuto all'errore della delegazione uscita dal percorso precedentemente concordato con i comandi militari. «Da una prima indagine risulta che la delegazione si è allontanata dal percorso previsto ed è giunta in un'area in cui non era autorizzata a trovarsi. Una forza dell'Idf operativa sul posto ha effettuato alcuni colpi di avvertimento. Saranno immediatamente contattati - spiega il comunicato - i rappresentanti dei Paesi coinvolti. Nei prossimi giorni i diplomatici verranno aggiornati sui risultati preliminari dell'indagine».
La spiegazione non convince le cancellerie europee. Anche perché arriva all'indomani della decisione, annunciata dall'Alto Commissario Kaja Kallas di rivedere i rapporti commerciali tra Unione europea ed Israele. Una decisione non condivisa dal governo italiano, ma preceduta comunque da un significativo cambio di passo del presidente del Consiglio Giorgia Meloni che la scorsa settimana ha definito «drammatica e ingiustificabile» la situazione umanitaria di Gaza. In questo contesto gli spari risuonati alle porte di Jenin contribuiscono inevitabilmente a rendere ancor più teso il rapporto tra le nazioni europee ed Israele. Uno dei primi a reagire è Antonio Tajani che dopo essersi consultato con la premier convoca l'ambasciatore israeliano e chiede spiegazioni al governo di Benjamin Netanyahu. Una mossa seguita a ruota dalle reazioni di Francia, Spagna e Germania e dell'Alto Commissario Kaja Kallas.
«Sono stati sparati colpi di avvertimenti ma sono pur sempre spari, ogni minaccia alla vita dei diplomatici - sottolinea la Kallas - è inaccettabile, chiediamo a Israele di indagare sulla responsabilità di questo incidente».
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