Il «no deal»? Possibile, ma incerto. E se si esce in questo modo all'Europa non paghiamo una sterlina. Sulla Brexit, un passo avanti e due indietro. Continua il balletto delle sfide tra Londra e Bruxelles senza che la palla si sposti di un millimetro. Al G7 di Biarritz, Boris Johnson incassa l'endorsement dell'amico Trump e appare leggermente più ottimista anche sulla possibilità di un nuovo accordo, ma con l'Europa c'è ancora molto da discutere. Dopo aver dichiarato di recente che le chance di uscire sbattendo la porta era «un milione contro una», il premier britannico ieri si è detto maggiormente ottimista dicendo alla Bbc che «tutto dipende dagli amici e dai partner europei». «Credo che ora il no deal sia un'ipotesi incerta ha detto ma l'importante è essere pronti anche a questa eventualità».
E per andarsene in tempo, questo primo ministro sembra pronto persino a chiudere il Parlamento per cinque settimane a partire dal 9 settembre, come ha rivelato il domenicale The Observer. Il giornale è venuto in possesso di una email in cui si chiede un giudizio legale sulla possibile chiusura dei Comuni. L'operazione in realtà è possibile e può essere bloccata soltanto da un ricorso ai tribunali da parte dei deputati, ma al momento rimane un'ipotesi remota. Anche un personaggio così dirompente come Boris avrebbe infatti difficoltà a mettere in atto una prova di forza di questa misura dato che anche molti membri del suo partito si sono detti contrari a un'azione così dirompente. Johnson ha chiesto all'Europa di eliminare il backstop per il confine irlandese e ieri il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk si è detto aperto a un'alternativa che però sia «realistica e immediatamente operativa». Il G7 di Biarritz si è comunque rivelato una buona occasione per Johnson che si è detto ottimista e ora ritiene che «l'Europa capirà che esiste la possibilità di raggiungere un nuovo accordo». Se così non fosse però, ha rimarcato il premier britannico, Bruxelles farebbe bene a non contare su larga parte dei 39 miliardi di sterline promesse dalla signora May perché in caso di no deal, lui non intende pagarli.
Nel corso del meeting, il primo ministro ha anche incontrato l'altro controverso protagonista del summit, il presidente americano Trump, da sempre suo fedele sostenitore. E benché sulla guerra dei dazi imposti e minacciati da Trump, Johnson abbia preso le parti dell'Europa («queste iniziative non fanno bene a nessuno» ha dichiarato) le relazioni tra i due Paesi non potrebbero essere migliori. A Trump, Boris è sempre piaciuto come gli è sempre piaciuta l'ipotesi di una hard Brexit, cosa che non ha mancato di rimarcare neppure ieri. «Faremo gli accordi commerciali fantastici e li faremo presto ha spiegato il presidente americano anzi faremo l'accordo più grande di tutti quelli mai avuti con il Regno Unito. L'uscita dall'Europa per la Gran Bretagna sarà come disfarsi dell'ancora che hanno legata alla caviglia». «A proposito di ancore ha replicato Johnson quello che vogliamo è che le nostre navi possano prendere le merci da New York a Boston, cosa che al momento non sono in grado di fare». In un'intervista con la Bbc, Johnson ha poi ammesso che vista la complessità della materia un accordo con gli americani richiederà tempo, probabilmente più di un anno. Il timore di molti è quello che l'America chiederà in cambio dell'accordo promesso al Regno Unito.
In giugno Trump aveva affermato che si discuteva di un'intesa sulla gestione del servizio sanitario nazionale, ipotesi che però Johnson ha sempre seccamente smentito. La Sanità britannica per ora, non è merce di scambio.
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