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Il "limbo" e l'incognita verde. Cosa succederà a Taranto

Impianti in funzione fino alla Cassazione, ma produzione ridotta. Ora Draghi deve accelerare sulla riconversione

Il "limbo" e l'incognita verde. Cosa succederà a Taranto

La sentenza bomba della Corte d'Assise sull'ex Ilva non avrà effetti diretti sulla produzione dell'acciaio italiano fino alla Cassazione. Poi la confisca dell'area a caldo di Taranto - per intenderci quella che riguarda cokerie, altiforni, le acciaierie, la gestione materiali ferrosi e l'area relativa ai parchi minerali taglierà le gambe all'offerta, già comunque molto ridotta. Ed è proprio in questo limbo, il tempo che separa il presente dal terzo grado di giudizio, che sta tutto il futuro dello storico sito siderurgico italiano destinato a cambiare completamente pelle una volta per tutte.

Che la Cassazione confermi o meno la sentenza di primo grado sarà difficile tornare indietro e per il governo Draghi è il momento di dare concretamente corpo al progetto industriale green tanto pubblicizzato per Taranto, ma ancora avvolto nel mistero. D'altra parte, così com' è, il paziente è già gravemente malato. La produzione del sito di Taranto è passata da 4,5 milioni di tonnellate del 2019 (era di 12 milioni prima del sequestro nel 2012) agli attuali 3-4 milioni. Sul fronte occupazionale, non ci sono stati esuberi, ma oltre 5mila dipendenti (su 8.200) sono in cassa integrazione fino al 30 giugno. Al di là della verità giudiziaria l'impatto industriale su Taranto di una gestione industriale e giudiziaria complessa è già realtà da tempo. E presto la sua onda lunga avrà effetti anche sui soci franco-indiani che affiancano Invitalia nel capitale del gruppo.

«Il sito tarantino commenta a Il Giornale Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0 - è di valore inestimabile per il nostro Paese, sia da un punto di vista industriale, sia logistico. Nelle vicinanze c'è un porto importante e strategico anche per chi investe. Nella sua joint venture con Arcelor Mittal credo che il governo abbia messo al sicuro la ex Ilva, sarà trovata una soluzione per rendere compatibili le Acciaierie d'Italia con la salute e con l'ambiente, come del resto avviene in tutti i paesi avanzati». Ma il futuro è tutto da scrivere e «le vicende negli ultimi due anni, soprattutto dopo la revoca dello scudo penale, si sono sviluppate in modo tale che Arcelor Mittal stia facendo ciò che vuole. Inoltre, a maggio 2022 Invitalia può portare al 60% (dall'attuale 38% con diritti di voto al 50%) la sua partecipazione nel capitale sociale di Acciaierie d'Italia: è un'operazione che non avrebbe una logica se dall'altra parte ci fosse un player seriamente intenzionato a investire. Quindi, aspettiamoci anche che Arcelor si ritiri dalla partita. Ma, nell'eventualità, la storia della ex Ilva proseguirà con altri protagonisti».

Un'ipotesi accreditata a cui il governo Draghi deve prepararsi per tempo in modo da traghettare l'azienda verso la nuova ipotesi green il più rapidamente possibile. «La transizione ecologica ed energetica è l'obiettivo fondamentale dell'Ue (e del governo Draghi): non si può fallire, ne è a rischio la tenuta dell'Unione. E l'Italia, con la sua industria, reciterà un ruolo importante».

I player alla finestra per la svolta siderurgica verde non mancano (Danieli, Fincantieri, Leonardo, Saipem) e nel frattempo, seppur con diversi scossoni (per le casse pubbliche e per la produzione) il settore classico della siderurgia sarà portato avanti da «imprese di eccellenza riconosciuta nel mondo, mi riferisco a Danieli, Feralpi, Marcegaglia, Arvedi, Rodacciai. L'obiettivo centrale del PNRR e del Recovery Plan europeo è quello di rilanciare il manufacturing per rispondere alla supremazia economica di Cina e Usa. È impensabile per il nostro Paese, seconda manifattura europea, possa perdere strategicità», spiega Sabella.

Ma la questione tempi non sarà secondaria. Dai forni elettrici all'idrogeno verde, a seconda delle soluzioni che saranno messe in campo, ci vorranno come minimo 4 anni per i primi risultati.

Insomma tra il 2025 e il 2030 la nuova Ilva sarebbe «un miracolo».

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