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L'incontro Conte-Mittal finisce senza accordo Adesso il "salvataggio" pubblico è più vicino

I franco-indiani sono a un passo dall'addio e il premier spera nei fondi Ue

L'incontro Conte-Mittal finisce senza accordo Adesso il "salvataggio" pubblico è più vicino

Per capire l'aria che tira basta il cambio di toni nei confronti di ArcelorMittal. «Pretendiamo chiarezza e rispetto degli impegni presi» intimava Giuseppe Conte. «Non permetteremo a Mittal di andarsene indisturbata», proclamava Luigi Di Maio. Era lo scorso novembre. Tre mesi dopo il governo è passato dai toni minacciosi a dimessi auspici. «C'è una condivisione degli obiettivi», ha detto ieri il premier dopo aver incontrato a Londra il magnate indiano Lakhsmi Mittal (nel tondo) e il figlio Aditya, i principali azionisti dell'azienda franco-indiana che vuole abbandonare l'ex Ilva al suo destino.

Pende l'udienza di dopodomani, venerdì 7 febbraio, in cui il tribunale di Milano dovrebbe esaminare il ricorso dei commissari dell'ex Ilva contro la decisione di ArcelorMittal di recedere dall'acquisto dello stabilimento di Taranto. E, fin qui, l'unico obiettivo condiviso tra governo e azienda è la volontà evitare l'incognita di un processo.

Ma l'auspicio di Conte a tre giorni all'udienza («sarebbe bene arrivarci con un accordo»), non basta ad avvicinare le posizioni. L'incontro è durato circa un'ora e si sarebbe concluso senza intesa. Il disimpegno di Mittal è ormai nei fatti: il nodo della trattativa azienda-governo al momento è soprattutto a quali condizioni e in quali tempi avverrà l'addio. Con il governo che chiede di pagare pesanti penali e Mittal che offre al massimo di non chiedere indietro i soldi già investiti nella fabbrica.

Intanto, la prima linea dei dirigenti dello stabilimento è stata «italianizzata»: via i manager internazionali, dentro vertici italiani il cui scopo è soprattutto preparare la transizione. L'azienda ha rinviato lo stop degli altoforni, ma la produzione langue e non si prendono nuovi ordinativi. Una situazione che non rende certo più appetibile lo stabilimento a nuovi investitori.

Prima dell'udienza, il governo potrebbe incontrare i sindacati, allarmatissimi, per fare un punto della situazione, ma al momento non pare che abbia elementi per rassicurarli. L'intervento pubblico nello stabilimento è dato ormai per scontato. «Si stanno ponendo le premesse», annuncia Conte, ma a quali condizioni? Perdite enormi, zero partner industriali all'orizzonte, investimenti «verdi» necessari che ammontano ad almeno tre miliardi. E anche se Conte riferisce di aver parlato con Ursula von der Leyen del ricorso al Just transition fund europeo per Taranto, il governo si appresta a portare in pre-consiglio dei ministri l'11 febbraio il «Cantiere Taranto», decreto con le misure economiche per la città le cui uniche certezze al momento sono i sussidi per gli esuberi di Ilva e dell'indotto.

Fa pensare più a prospettive di disoccupazione che di nuovo lavoro.

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