Coronavirus

L'infermiera stremata sulla tastiera: "Felice, ma ci hanno abbandonati"

La donna della foto simbolo: "Ho temuto per la mia vita, il premio è a tutti i colleghi. Con noi promesse non mantenute"

L'infermiera stremata sulla tastiera: "Felice, ma ci hanno abbandonati"

Lei si chiama Elena Pagliarini, abita a Cremona, ha 43 anni ed è diventata infermiera dopo 18 anni di volontariato in Croce Rossa. La sua foto, con la testa crollata sulla scrivania dopo un turno in ospedale, ha fatto il giro del mondo ed è diventata il commovente e grintoso simbolo della lotta Covid nei reparti.

E ora arriva anche il premio del presidente Mattarella.

«Ne sono felicissima ma quel premio non è mio. Io sono solo l'immagine del lavoro svolto da tutti i miei colleghi, Prima, durante e dopo il Covid».

Ci racconta quando è stata scattata quella foto?

«Era la notte tra il 7 e l'8 marzo».

Il famoso fine settimana in cui la gente affollava ancora le piste da sci e i locali nonostante gli appelli?

«Esattamente quel giorno. Io avevo iniziato il turno alle 21, mentre fuori non tutti si rendevano conto della tragedia, in corsia eravamo in piena emergenza. Quella era stata una notte molto intensa, avevo pianto da poco. Ma non perchè avevo visto morire i miei pazienti, a quello purtroppo sono abituata. Avevo pianto perchè l'unica cosa che potevo fare per loro era tenere la mano e ascoltare i messaggi che volevano che riferissi ai loro cari. Emotivamente era davvero provante. La mattina alle sei mi sono appoggiata con la testa alla tastiera, esausta, avevo bisogno di qualche minuto per recuperare. E la mia collega, con la passione della fotografia, mi ha immortalato».

Voi infermieri siete stati chiamati eroi e riempiti di promesse. Ma ora state organizzando una serie di flash mob per farvi sentire.

«Quelle promesse per ora nessuno le ha mantenute. Noi chiediamo un riconoscimento, non solo economico, della nostra professione. Lavoriamo duro sempre, non solo per il Covid».

A chi dedica il premio?

«Agli infermieri di tutto il mondo. Ma soprattutto ai miei colleghi, la mia seconda famiglia. Quando mi sono ammalata e non ho potuto lavorare, nella chat comune li facevo ridere cantando le canzoni dei bambini perchè sapevo che erano sommersi di lavoro e molta tensione».

Come ha vissuto sulla sua pelle il coronavirus?

«Quando ho saputo di essere positiva mi è presa un'angoscia incredibile. Ho tranquillizzato mia madre, ho messo tre pigiami in borsa e sono andata in ospedale per la tac. Pensavo al peggio ma è andata bene. Dopo 23 giorni, al 13esimo tampone, sono risultata negativa e sono subito corsa al lavoro.

Sapevo che c'era bisogno, era inizio aprile e i letti erano tutti pieni».

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