Bei tempi, quando si discettava sullo spettro incombente della deflazione senza mai riuscire a capire i toni accigliati dei banchieri centrali. Adesso, con l'inflazione infestante come gramigna, abbiamo le tasche intossicate e capiamo tutto: la profezia autoavverante della Bce, quel suo continuo rassicurare sulla transitorietà del fenomeno, vale quanto un disco rotto. Il carovita è più che mai vivo. E lotta contro di noi. Ogni bolletta è un colpo al cuore, ogni sosta dal benzinaio un infarto al portafogli, ogni carrello della spesa un attentato al conto in banca.
L'Istat ci racconta che i prezzi al consumo si sono arrampicati lo scorso gennaio al 4,8% dal precedente 3,9%. Una scalata, con l'agilità del giovane Messner, da togliere il fiato. Serve il saturimetro a portata di mano e una seduta dallo psicoterapeuta, peraltro due fresche new entry nel paniere con cui si misurano i cambi di abitudini degli italiani, per digerire la stangata fino a 1.783 euro calcolata dall'Unione nazionale consumatori.
Insomma, in questa terra di mezzo tra ripresa economica e crisi da Covid siamo tornati indietro di 26 anni. Rispetto ad allora, bisogna però cogliere le differenze. Su tutte, una: nel 1996 un Btp a 10 anni rendeva oltre il 9% ed era un efficace scudo anti-inflazione, mentre oggi garantisce appena l'1,6%. È l'effetto collaterale della politica dai tassi a zero intrapresa dall'Eurotower. Che se da un lato alleggerisce il servizio del debito da parte del Tesoro, dall'altro lascia sguarnite le difese di aziende e famiglie, in particolare quelle dove i salari non si schiodano, il posto di lavoro è precario e il gruzzolo di risparmi depositato in banca viene rosicchiato dalla perdita di potere d'acquisto. Nonostante la Germania (carovita al 5,1%) sia da tempo in pressing perché venga fermata la giostra, è improbabile che Christine Lagarde, a capo della banca centrale di Francoforte, compia a breve una virata di 180 gradi. Nell'Eurozona i prezzi sono schizzati il mese scorso al 5,1%, spiazzando quanti ipotizzavano una discesa al 4,4%, ma l'ammontare di debito accumulato da molti Paesi per contrastare la pandemia obbliga la Bce a muoversi come un palombaro. Un'uscita affrettata dalle misure di stimolo potrebbe infatti generare tensioni sui mercati finanziari, con pressioni sugli spread tali da vanificare in parte il lavoro fatto finora. Cartina di tornasole dell'intenzione di procedere con estrema prudenza, il recente potenziamento del vecchio piano di acquisto titoli implementato da Mario Draghi quando era alla guida dell'istituto di Francoforte.
Con la volontà di procedere in direzione ostinata e contraria rispetto alla Federal Reserve (4-5 rialzi del costo del denaro spalmati fra marzo e dicembre) si punta su un atterraggio morbido. Potrebbe andare così. Difficile invece, come spera Madame Lagarde, che l'inflazione rientri nei ranghi (il target è il 2%) a fine anno. Se c'è una cosa che gli istituti di emissione non possono governare, quella è l'andamento dei prezzi delle materie prime. Soprattutto se sui rincari soffiano anche i venti di guerra, come quelli della crisi russo-ucraina. La Commissaria europea all'Energia, Kadri Simson, è andata ieri dritta al cuore del problema: «Circa la metà dell'inflazione è causata dall'aumento dei valori dell'energia».
L'Italia è stata infatti colpita al cuore da una crescita annua mai vista: un +38,6% assorbito solo in parte dalla sterilizzazione degli aumenti da parte del governo. Le prossime bollette di luce e gas saranno un incubo.
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