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L'Italia nelle mani di un ex pm: Grasso sgomita per restare al Colle

Per almeno quindici giorni il presidente del Senato fa le veci del capo dello Stato. E si traveste da bipartisan

L'Italia nelle mani di un ex pm: Grasso sgomita per restare al Colle

Roma - Almeno per quindici giorni il sogno dei «manettari» italiani sarà parzialmente realizzato: un (ex) giudice svolgerà le funzioni del presidente della Repubblica e, dunque, sarà anche il capo del Consiglio superiore della magistratura e delle Forze armate. Lui, l'inquilino numero uno di Palazzo Madama, Pietro Grasso, vorrebbe che il soggiorno durasse anche più a lungo, ma - al momento - le speranze di una conferma sono ridottissime.

Certo, ai giustizialisti duri e puri come Marco Travaglio (solo per fare un esempio), il presidente del Senato non è simpaticissimo. Ma per un semplice motivo: sconta il peccato originale di aver sottratto, nella sua vita passata, la poltrona di procuratore nazionale antimafia (Pna) a Giancarlo Caselli, vero nume tutelare dei giudici star del processo sulla Trattativa Stato-mafia come Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. In quella presente, invece, ha fatto da scudo umano fino all'ultimo a Giorgio Napolitano sostenendo la (giusta) tesi per la quale l'ex presidente non era da audire come testimone.

Ecco, Grasso è sempre stato un magistrato «di confine»: un po' togato e un po' sensibile al richiamo del Palazzo. Giudice a latere nel maxiprocesso contro Cosa Nostra del 1986-87, stretto collaboratore di Giovanni Falcone e artefice della cattura del superlatitante Bernardo Provenzano, grande capo assieme e dopo Totò Riina. A differenza dei due famosi colleghi massacrati dalla mafia (Falcone e Borsellino), Grasso ha lasciato intravedere anche una certa velleità etica nell'attività giudiziaria, quasi che il contrasto al crimine non ne fosse l'unico fine. È stato lui ad avallare l'azione moralizzatrice delle inchieste perseguendo l'ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro. Ed è stato lui, tra gli altri, a sostenere che la mafia avesse inaugurato la stagione stragista del 1992-93 per «agevolare l'avvento di nuove realtà politiche che potessero esaudire le sue richieste». Frasi dette cinque anni fa e sulle quali fior di giornalisti come Michele Santoro hanno imbastito trasmissioni fiume per indottrinare la gente sul papello (i diktat di Riina alla politica per cessare le azioni terroristiche; ndr) e sulle presunte origini oscure di Forza Italia. Allusioni prontamente smentite dallo stesso Grasso che non ha mai varcato quel confine che Francesco Saverio Borrelli ai tempi di Mani pulite superò.

Questa circostanza spiega perfettamente perché i «talebani della Costituzione» non venerino Grasso come una Madonna pellegrina. È perché il presidente del Senato non cerca conflitti e polemiche e, ogniqualvolta vi rimanga invischiato, le spegne sul nascere. Osò addirittura proporre - lui, uomo con il cuore a sinistra - un riconoscimento al governo Berlusconi per le leggi che facilitavano la confisca dei beni alla criminalità organizzata. L'iniziativa fu censurata dai vari Ingroia, Di Matteo e compagnia bella. Egli si tacque. Per amor di patria.

«Una grande responsabilità e una forte emozione. Affronterò questi giorni con spirito di servizio e animo sereno», ha dichiarato ieri su Twitter il nostro. Quasi una sorta di «consiglio per gli acquisti» a Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

È in Parlamento da meno di due anni, ma ha già imparato il mestiere.

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