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"L'Italia non collabora. E non indaga"

Gli attivisti sulle 11 stazioni cinesi: "Il Viminale prenda il caso sul serio. C'è opacità"

"L'Italia non collabora. E non indaga"

«Ci sono stati rientri forzati di cittadini cinesi dall'Italia». Non sono «strettamente legati» alle 11 «stazioni di servizio» cinesi presenti nel nostro Paese ma chiamano in causa il nostro governo, che finisce sotto accusa di «Safeguard Defenders». La Ong spagnola ha denunciato con due report inquientanti che quegli uffici aperti come «stazioni di servizio» all'estero sono stati di fatto utilizzati dalle autorià cinesi come «stazioni di polizia» segrete, per controllare i propri cittadini all'estero e costringere i dissidenti al rimpatrio. Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha spiegato al question time alla Camera che «la vicenda non ha alcuna attinenza con gli accordi di cooperazione internazionale di polizia tra Italia e Cina e con l'esecuzione di pattugliamenti congiunti tra le rispettive polizie». Quanto agli uffici amministrativi cinesi, al Dipartimento della pubblica sicurezza - ha detto Piantedosi - «non risulta alcuna autorizzazione».

Il vero problema però è un altro, secondo Laura Harth, direttrice delle campagne dell'Ong per i diritti umani: «In Italia c'è un'opacità che negli altri Paesi europei e dell'Alleanza atlantica non incontriamo». E il ministro dell'Interno «non ha risposto a molti interrogativi: le autorità italiane sapevano che le stazioni erano state aperte, visto che era addirittura presente la polizia locale all'apertura di almeno una di queste stazioni a Roma?».

Anche su un altro punto la Ogn spagnola sferza il nostro governo, dopo che il ministro Piantedosi alla Camera «assicurato che le forze di polizia, insieme all'intelligence, attueranno un monitoraggio con la massima attenzione, io lo seguirò personalmente e non escludo provvedimenti sanzionatori in caso di illegalità riscontrate». La leader degli attivisti per i diritti umani insiste: «Anche per quanto riguarda le indagini, su 11 stazioni, una è stata oggetto di indagine e una persona è indagata, ma non si sta facendo altro, come confermato dall'ambasciata cinese». «Credo farebbe bene all'Italia far vedere che prende sul serio la questione e ha voglia di agire», ha aggiunto Harth. Poi il confronto con Irlanda, Olanda, Germania e altri Paesi che «hanno immediatamente avviato indagini, convocato l'ambasciatore cinese, chiedendo ai testimoni di parlare alle autorità». In Italia, invece, «opacità», è l'accusa. Proprio «dove è lecito farci qualche domanda in più, visti gli accordi, e quanto ci raccontano le stesse autorità cinesi su come si sono create queste stazioni pilota in Italia».

Il presidente della commissione Ingerenze del Parlamento europeo, Raphael Glucksmann, le ha definite una «pratica quasi mafiosa» con cui Pechino «promulga un sistema di repressione transnazionale per imporre il silenzio a chi critica il regime».

Ha chiesto di annullare tutti gli accordi di cooperazione bilaterale e multilaterale in materia di polizia con la Cina.GaCe

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