Roma - Fino a qualche mese fa si poteva concedere a Matteo Renzi il beneficio del dubbio. Il primo semestre di governo è periodo troppo breve per misurare l'efficacia delle politiche economiche di un esecutivo. Ora che ci si avvicina al primo anno di vita del suo gabinetto si può elaborare un giudizio. Ed è assolutamente negativo.
La revisione al ribasso del Pil del terzo trimestre 2014 è sintomatica dell'inefficacia delle azioni intraprese. E questo non solo perché il calo tendenziale dello 0,5% appesantirà il dato atteso per l'intero anno (da -0,3 a -0,4%), ma soprattutto perché Renzi non è riuscito a invertire la tendenza, ad avviare quella «svolta» che aveva promesso. Da quando si è insediato a Palazzo Chigi gli investimenti fissi lordi sono continuati a calare (dal -1,4% del primo trimestre al -3,1% dell'ultima rilevazione). Nel periodo luglio-settembre il valore aggiunto delle costruzioni è crollato del 4% rispetto allo scorso anno. L'economia non è una scienza esatta ma si basa ugualmente sui numeri e, in presenza di consumi sostanzialmente stagnanti, non si può avere crescita senza un rilancio degli investimenti. Ma, ahinoi, la produzione industriale italiana è in costante calo (-0,5% la media dei primi nove mesi) e, conseguentemente, pure il valore aggiunto (la misura di ciò che l'industria aggiunge alla materie prime) decresce. Quindi non sorprende che l'Italia abbia segnato, durante il consolato renziano, il record storico di disoccupazione del 13,2% a ottobre.
Il segretario del Pd, ieri in direzione, ha cercato di spacciare ottimismo a buon mercato. La tesi, in buona sostanza, è che il conto dei senza lavoro sia in aumento perché si sta incrementando il numero dei «fiduciosi» che ne sono in cerca e che, quindi, ricadono nella statistica. Falso: se crescesse il numero delle persone in cerca di lavoro e dunque il numero degli occupati e degli «occupabili», a parità di disoccupati il tasso scenderebbe. Quindi, prendendo in parola il vanesio Renzi, la crescita del tasso di disoccupazione dal 12,6% di marzo al 13,2% attuale implicherebbe una perdita di posti di lavoro ben superiore alle 160mila unità registrate nei mesi in esame. A fronte di questo andamento si può concedere un'ulteriore apertura di credito al presidente del Consiglio? La risposta, anche in questo caso, dovrebbe essere negativa perché la Legge di Stabilità implica per l'anno prossimo un incremento della pressione fiscale dal 43,3% stimato nel 2014 al 43,4. In questa situazione basta anche uno 0,1% per far proseguire il trend negativo. Nel 2016 e nel 2017 l'incidenza delle tasse sul Pil dovrebbe essere del 43,8% (salvo stangata su Iva e accise), quindi se il premier avesse un po' di amor patrio, dovrebbe quanto meno recedere dai propri propositi di politica fiscale.
I mercati, invece, sembrano accordare all'attuale inquilino di Palazzo Chigi quelle speranze che la ragione imporrebbe di non nutrire. Lo spread Btp-Bund è al livello più basso da aprile 2011 a 127 punti, mentre i nostri titoli di Stato decennali rendono circa il 2% (minimo storico).
Eppure nel terzo trimestre del 2011, quando il governo Berlusconi cadde vittima del complotto sullo spread, i fondamentali macroeconomici erano positivi (e il Pil era in crescita). È la fortuna di chiamarsi Matteo. Ma i sondaggi non perdonano: nella consueta rilevazione Emg per il TgLa7 la fiducia nel premier scende ancora (al 34%, -1%), come le intenzioni di voto per il Pd (al 36,5%, -1,4%).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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