«Abbiamo ucciso un serpente. Si mordeva la coda da anni. È stato smembrato. E nei suoi vari pezzi sarà finalmente riconsegnato all'Italia». Basterebbe questa dichiarazione rilasciata al Giornale da un alto funzionario francese che da anni segue la vicenda delle estradizioni degli ex Br per inquadrare il blitz «ordinato» da Emmanuel Macron. Ma dietro la svolta «politica» dell'Eliseo, che eviterà lo scattare della prescrizione per alcuni ex terroristi italiani riparati nell'Esagono, c'è l'intenso lavorio del governo Draghi per convincere il presidente francese a mutare l'approccio dei predecessori sulla cosiddetta «Dottrina Mitterrand».
Gli arresti all'alba di ieri a Parigi, dei 7 «ex» degli Anni di Piombo (altri 3 sono sfuggiti), segnano l'apice di una nuova intesa italo-francese e la fine di una pagina che si trascinava da decenni. E soddisfano tanto Roma quanto la Francia: «Fiero d'aver partecipato a questa decisione», dice il Guardasigilli con madre nata nel Belpaese. Ma come si è arrivati ai 10 nomi in questione?
Semplicemente sono gli unici per cui c'era ancora la possibilità di estradizione: le pene degli altri, nel lungo elenco di oltre 200 soggetti stimati nel 2017, sono ormai tutte prescritte. O i protagonisti sono morti. Per questi soltanto si poteva avanzare una richiesta. Che c'è stata, con forza. «One shot». Non ci saranno cioè altri provvedimenti simili, perché non possono essercene altri relativi ad altri ex brigatisti macchiatisi di reati di sangue ormai prescritti.
Il via libera dell'Eliseo alla «restituzione» giunge dopo settimane di interlocuzioni serrate tra le due capitali: proprio per evitare altre prescrizioni. Come anticipato dal Giornale, il ministro della Giustizia transalpina, l'8 aprile, si era spinto a dire a porte chiuse a Marta Cartabia: «È l'ora di rendere esecutive le richieste italiane» di estradizione; dichiarate «urgenti» da Roma nell'incontro virtuale tra la Guardasigilli e l'omologo Éric Dupond-Moretti, affinché si potessero consegnare gli autori degli attentati delle Brigate Rosse. Poi, in una telefonata del premier Mario Draghi con Macron, si è raggiunta la cima di una piramide di responsabilità che solo il presidente francese poteva sbloccare. Il ministro d'Oltralpe ha trasferito i fascicoli dei «10» alla procura generale francese, che ha proceduto con le pratiche per l'individuazione e per l'arresto degli «ex». Un nodo, tutto politico, che ha innescato un'intesa nuova da spendere anche in chiave europea.
Parigi accetta. E scatta l'operazione. Macron chiede sulla scrivania i nomi: fascicoli inviati da Roma di cui si era persa traccia o che, stando ad alcune versioni d'Oltralpe rese negli anni a mo' di giustificazione, in certi casi erano incompleti o con «istituti» non presenti in Francia, quindi facili da ignorare. «La Francia comprende il bisogno di giustizia delle vittime - commenta oggi l'Eliseo - problema risolto come chiedeva l'Italia, evoluzione della dottrina Mitterrand». Nel frattempo, Luigi Bergamin è stato dichiarato dalla procura delinquente abituale fermando la prescrizione altrimenti sopraggiunta. E si evita pure la prossima, il 10 maggio, per Maurizio Di Marzio. Entrambi ieri non si sono fatti trovare: fuggiti prima del blitz.
Il dossier «Ombre rosse» evidenzia però come i «10» non fossero mai stati bloccati perché l'autorità giudiziaria d'Oltralpe non aveva di fatto in mano i fascicoli sui vari ex terroristi con le domande di
estradizione pendenti (anche se, per Manenti, «non c'erano motivi per non eseguire il mandato d'arresto», ribatte la procura di Bergamo). Il nodo era «politico», risolto con la «corretta interpretazione» di una dottrina di fantasia.
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