L'omaggio a Craxi nella Tunisi blindata

Tra terrorismo e coprifuoco, in tanti per il ricordo del leader socialista

Stefano Zurlonostro inviato a Hammamet All'ingresso del Caffè Bouhdid, proprio sotto il muraglione della Medina, un uomo della sicurezza fruga l'aria con un rilevatore di esplosivi. Quella presenza discreta è l'unico segnale dei tempi difficili che attraversiamo, fra terrorismo e coprifuoco. Dentro, fra i tavoli, i rituali di sempre si ripetono come a scacciare le nuove paure: un vecchio fuma ad occhi chiusi il narghilè; due ragazze, vestite all'occidentale, sorseggiano una bibita e parlano fitto. Scene di un week end che vorrebbe essere normale anche se il turismo, la prima industria da queste parti, boccheggia e gli alberghi dal gusto kitsch, semivuoti, mettono malinconia, come in un film di Fellini.Dietro il bancone del bar Bettino Craxi sorride in mille pose. Veniva spesso in questo locale il leader socialista, negli anni in cui l'Italia era solo nostalgia.Si fermano dunque qua i figli Bobo e Stefania, per una volta insieme in Tunisia per celebrare il padre a sedici anni dalla morte. Con loro amici, ex ormai per definizione, parlamentari della prima repubblica, giovani sindaci, dal Friuli alla Calabria. Poco più in là si accalcano intorno alla tomba che guarda verso il mare e l'Italia. «Mio padre - dice Stefania - era un grande amico del popolo tunisino e aveva capito con largo anticipo quel che oggi tutti vedono con sgomento: se non aiutiamo la Tunisia, se non cerchiamo di colmare la grande frattura fra il Nord e il Sud, se non proviamo a far dialogare le due sponde del Mediterraneo, allora dobbiamo prepararci all'immigrazione selvaggia, al terrorismo, alla destabilizzazione».Mai come oggi quel messaggio arrivato in bottiglia da un'altra epoca appare attuale, e il pellegrinaggio della memoria si trasforma in un confronto con l'attualità. La signora Anna ascolta la figlia, si guarda intorno stupita, poi confida alla giornalista di Formiche.net: «Pensavo che alla commemorazione ogni anno sarebbero venute dieci persone di meno, invece ogni anno sono dieci in più». Sessanta o settanta in questa tornata, in Tunisia contro la paura e contro il coprifuoco, imposto dal governo dopo i disordini degli ultimi giorni.È un viaggio fra le suggestioni, quello della delegazione italiana. I souvenir dei negozietti che piacevano a Bettino. Le lapidi ormai illeggibili del camposanto cristiano che raccontano storie antiche di italiani morti quaggiù. Proprio come Craxi, anche se la ferita non è ancora rimarginata e quello che per gli uni è stato solo l'esilio di uno statista, per una parte dell'opinione pubblica - in verità sempre più minoritaria - è ancora la fuga di un uomo inseguito dalla magistratura.Un mondo piccolo per una grande storia che non invecchia, come il vino buono. Tutto in un fazzoletto di terra che ormai è un sacrario ma anche un cannocchiale su un futuro minaccioso. Stefania Craxi stringe la mano all'ambasciatore d'Italia Raimondo De Cardona e con lui raggiunge i ruderi di un capanno, in riva a quel mare che è tornato a dividere, a fare paura, ad essere troppo largo.

Qui, in questa marina appartata e struggente, quasi un quadro di Carrà, Craxi veniva a pensare, a passeggiare, a scrutare l' orizzonte lontano. «Papà - conclude Stefania - sosteneva la Tunisia in tutti i modi, oggi il governo Renzi dà solo 9 milioni a Tunisi». E l'Italia appare ancora più lontana.

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