L'omicidio di Daria Dugina, figlia dell'ideologo nazionalista russo, sarebbe stato «autorizzato da alcuni settori» del governo ucraino. Non lo sostiene la propaganda di Mosca, ma funzionari americani che hanno parlato con il New York Times. Un colpo sotto la cintura, un messaggio forte e chiaro di Washington a Kiev, un ammonimento senza precedenti. Forse gli ucraini vengono considerati troppo autonomi nella strategia per liberare il loro paese e sicuramente sono accusati di essere poco collaborativi nello scambio di informazioni.
I funzionari anonimi, che difficilmente hanno parlato con il quotidiano americano senza autorizzazione dall'alto, sono andati giù duri. Pur non specificando chi nel governo ucraino è coinvolto e se fosse informato il presidente Volodymyr Zelensky hanno puntato il dito contro i servizi segreti di Kiev per l'attentato del 20 agosto alle porte di Mosca. Probabilmente l'obiettivo era il padre, Alexander, che propaganda la guerra totale contro l'Ucraina, ma è stata uccisa la figlia trentenne, una civile e per di più giornalista. Pur schierata con i filo russi del Donbass non poteva venire considerata un obiettivo legittimo. Gli Stati Uniti, secondo le fonti, «non hanno preso parte all'attentato, né fornendo informazioni né con altre forme di assistenza. E gli Usa non sono stati informati in anticipo dell'attacco. In caso contrario «si sarebbero opposti se consultati» sostengono le fonti del Times. Non solo: l'intelligence americana sarebbe preoccupata perché «azioni del genere rischiano di non avere alcun impatto diretto sul campo e potrebbero, anzi, spingere Mosca a organizzare attacchi analoghi contro funzionari del governo ucraino». Un'ulteriore escalation senza senso.
Al New York Times il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, ha negato ancora una volta il coinvolgimento di Kiev nell'attentato. «Qualsiasi omicidio in tempo di guerra deve avere una ragione pratica, un obiettivo tattico o strategico: Daria Dugina non rappresentava un bersaglio», ha dichiarato il braccio destro di Zelensky. Non si può escludere che frange dei servizi di sicurezza, influenzate da estremisti ucraini, possano aver favorito l'attacco mortale. I russi avevano indicato, stranamente in poche ore, una «colpevole» perfetta, Natalia Vovk, che secondo Mosca sarebbe legata ai falchi del reggimento Azov. I loro comandanti, allora, erano prigionieri dei russi dopo la resa a Mariupol.
Il «siluro» della Cia non viene lanciato adesso per caso. Il presidente americano, Joe Biden, è stato informato la scorsa settimana dell'analisi dell'intelligence che punta il dito contro Kiev. Gli Stati Unti si sono impegnati nello stanziamento di 1,1 miliardi di dollari «a lungo termine» per aiutare l'Ucraina nella guerra. E 24 ore prima delle rivelazioni era stato annunciato l'invio di nuove armi per 625 milioni di dollari. Però le fonti del New York Times fanno sapere che le autorità di Washington sarebbero «frustrate» a causa della mancanza di trasparenza del governo ucraino sulle sue strategie militari. E martedì, il capo dela Cia, William Burns, ha spiegato in un'intervista tv che il presidente russo Vladimir Putin può diventare ancora più pericoloso se messo in un angolo. Sembra quasi che le avanzate ucraine sul campo preoccupino gli americani, per un eventuale reazione spropositata, ovvero nucleare di Mosca. Oppure che fossero stati concordati determinati obiettivi, ma che l'esercito di Kiev ringalluzzito dalla vittorie continui ad avanzare esponendosi troppo.
Non è neppure escluso che l'Fsb, il servizio russo, fosse in procinto di fornire prove concrete del coinvolgimento di Kiev nella morte di Dugina e gli americani abbiano giocato d'anticipo.
Un certo imbarazzo potrebbe fare capolino anche a Bruxelles. L'Ue si preparava a sanzionare nuovi personaggi in Russia compreso (ancora) Alxander Dugin, che secondo Washington ha perso la figlia per mano dei servizi ucraini.
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