Coronavirus

A Londra 65mila morti "inattesi". Male Bergamasca e Cremonese

Analisi dei decessi sulle serie storiche: la maglia nera al Regno Unito. Negli Usa mercoledì una vittima al minuto

A Londra 65mila morti "inattesi". Male Bergamasca e Cremonese

Londra. Dimenticate la conta dei morti da Covid-19 e il confronto tra Paesi: disomogenee le metodologie di conteggio, necessità di conoscere se la persona deceduta era infetta, difficoltà nello stabilire se sia morta per coronavirus o per un concorso di cause. Quello cui si deve guardare è il numero di morti registrati rispetto alla media storica di un determinato periodo: il tasso delle morti in eccesso, da tempo indicato da parte della comunità scientifica come il più completo indicatore per valutare l'impatto della pandemia. Ieri l'Ons, l'istituto di statistica inglese, ha pubblicato uno studio che indaga il primo semestre del 2020, basandosi su dati Eurostat e sulle medie di decessi nei cinque anni precedenti: il Regno Unito è stato il Paese europeo con il più alto numero di morti in eccesso, circa 65mila in più. Diversamente da altri, come Spagna e Italia, dove la distribuzione regionale è stata più disomogenea, Londra ha registrato una maggiore uniformità, Birmingham la zona più colpita. Tutte e quattro le nazioni del Regno hanno avuto un consistente eccesso di morti, anche se nessuno tanto drammatico come quello dell'Inghilterra. Il Paese con il picco di morti più alto sulla media del periodo è stata la Spagna mentre l'area più colpita è stata la Bergamasca (+847.7%), seguita dal Cremonese (+617.7%). Gli over 65 le persone maggiormente colpite con punte di oltre il 100% in Spagna, Regno Unito e, per pochi giorni, nel Belgio.

Il conteggio dei decessi definito su queste basi consente di tenere in considerazione anche le morti collaterali della pandemia, ad esempio per la sospensione dei trattamenti medici o la minore propensione a recarsi dal medico o negli ospedali. E include anche gli effetti di misure drastiche quali il lockdown: è proprio su questo che si è concentrato un diverso studio delle università di Sheffield e Loughborough, pubblicato ieri, secondo cui la misura introdotta dal governo inglese il 23 marzo scorso avrebbe condotto a 21mila morti, dovuti specialmente al limitato accesso ai pronto soccorso e alla minore erogazione di cure mediche critiche da parte degli ospedali. L'analisi si inserisce nel dibattito in corso sulla tardiva chiusura del Paese, da più parti additata come uno dei maggiori errori del governo Johnson che sta ora facendo di tutto per dare di sé un'immagine competente: è di ieri la nuova disposizione governativa per cui chi manifesta sintomi compatibili con il CV19 dovrà ora rimanere in isolamento per 10 giorni, 3 in più di quanto previsto in precedenza, in linea con quanto consigliato dall'Organizzazione mondiale della sanità. È l'ennesimo tentativo, dopo il ripristino della quarantena per chi arriva dalla Spagna, per contenere il rischio di una risalita degli infetti, proprio nel giorno in cui i casi globali sfondano quota 17 milioni e gli Usa superano i 150mila morti, oltre 1.

400 nell'ultimo giorno, uno al minuto, livelli che non si vedevano da maggio.

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