Roma - Se al referendum costituzionale d'autunno vincesse il «No», le conseguenze per l'Eurozona sarebbero «gravi».
A lanciare l'avvertimento è il Financial Times, che già aveva messo in guardia - con qualche fondamento, come si è poi visto - dagli effetti destabilizzanti per la Gran Bretagna, l'Europa e la crescita economica della Brexit. Ora il quotidiano della City guarda all'Italia, e prevede burrasca: «Le conseguenze di un voto per il No sarebbero gravi. La riforma costituzionale verrebbe come minimo ritardata, portando a una situazione insostenibile in cui il nuovo sistema elettorale verrebbe applicato alla Camera ma non al Senato», scrive il Ft. «Un governo tecnico non avrebbe efficacia. Se si tenessero elezioni anticipate sarebbe improbabile avere un nuovo governo con un mandato favorevole alle riforme». La vittima «immediata e di lungo termine di questa situazione sarebbe la crescita» aggiunge, sottolineando in chiusura: «Un voto per il No potrebbe portare a un colpo anche più grave alle prospettive dell'Eurozona, tanto politiche quanto economiche». L'autorevole giornale economico accusa Matteo Renzi di aver fatto un grave errore a personalizzare la consultazione: «Rendere esplicito il legame tra il futuro di Renzi e l'esito del voto non farà che incoraggiare la gente a usare le urne per punire l'amministrazione», in un Paese in cui «il sentimento di indignazione anti establishment» è in crescita.
L'allarme del Financial Times irrita le opposizioni, che nel frattempo continuano a martellare Renzi perché fissi la data del referendum. I capigruppo Cinque Stelle accusano il premier di non averlo voluto fare nel Consiglio dei ministri di mercoledì: «Guarda caso anche stavolta non ha trovato un minuto per farlo», strillano. Peccato ignorino che Renzi non poteva farlo: la legge prevede che debbano trascorrere 10 giorni dalla pronuncia della Cassazione, per consentire eventuali ricorsi. Scaduti i quali, il governo avrà 60 giorni per decidere la data.
Gaffe grilline a parte, nel Pd continua - a dispetto del caldo e delle vacanze - lo scontro interno. Che però ieri si è curiosamente spostato dentro il perimetro della minoranza anti-renziana. Un'intervista alla Stampa di Gianni Cuperlo, infatti, ha aperto la contesa dentro la fronda su chi debba essere il leader che si contrapporrà all'attuale segretario nel prossimo congresso. Leader che, constata malinconicamente Cuperlo, non esiste: «Renzi la sua svolta la ha fatta, noi ancora no», riconosce il suo ex competitor sconfitto alle primarie. Tant'è che «si evoca la possibilità di un Papa straniero» come la figlia del defunto leader Pci, Bianca Berlinguer, da candidare contro Renzi. Ipotesi che Cuperlo, in realtà, non sembra considerare molto realistica (sa bene che la giornalista, nonostante il cognome, non è riciclabile in politica e vuol restare in Rai), pur riconoscendo che «lei è una donna che gode di popolarità e forza», anche per la gran pubblicità che le ha fatto la recente vicenda Tg3.
Ma il vero obiettivo di Cuperlo è Roberto Speranza, pupillo di Bersani e D'Alema che punta a sfidare il premier.
Ma non ha i numeri per farlo, secondo Cuperlo, che - senza citarlo - dice «abbiamo un problema di autorevolezza che dovrebbe farci seriamente riflettere», perché «siamo rimasti sospesi tra la classe dirigente rottamata da Renzi» (ossia, appunto, i soliti Bersani e D'Alema) e «il vuoto di personalità nuove».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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