di Livio Caputo
I l dado è tratto: con appena 48 ore di anticipo sul termine che si era dato, il governo britannico invoca oggi l'articolo 50 per mettere in moto i negoziati per la sua uscita, dopo 44 anni, dall'Unione europea. Secondo molti osservatori, saranno le più complesse trattative mai condotte tra Stati. Il trattato dice che dovrebbero concludersi in due anni, e soltanto se tutti saranno d'accordo potranno essere prolungati. L'alternativa è che finiscano in un nulla di fatto, cioè che la Gran Bretagna lasci la Ue sbattendo la porta. Come ha detto la premier Theresa May, «nessun accordo è meglio di un cattivo accordo». Londra punta a mantenere il libero accesso al mercato unico e possibilmente il «passaporto» che consente alla City di operare senza ostacoli nella Ue, ma senza rinunciare alle due motivazioni principali della Brexit, cioè porre fine al libero accesso dei cittadini europei e affrancarsi dalla giurisdizione della Corte Europea. Bruxelles ha ribattuto che non se ne parla: se i cittadini Ue non potranno più entrare in Gran Bretagna, le merci britanniche dovranno pagare dazio nella Ue. In più, chiede a Londra una «buonuscita» di 60 miliardi. A seconda del tipo di compromesso, avremo una Brexit «dura» o una Brexit «morbida».
La strada verso l'apertura dei negoziati non è stata facile per la May, che in origine sperava di poterli condurre senza la vigilanza del Parlamento; ma un gruppo di cittadini ha fatto ricorso e la Corte suprema ha dato loro ragione. Il governo ha perciò dovuto far ratificare l'esito del referendum sia dalla Camera dei Comuni, che non ha posto ostacoli, sia dai Lord, che invece hanno cercato invano di introdurre due emendamenti che puntavano a una Brexit morbida.
A complicare le cose la premier scozzese Sturgeon, contraria alla Brexit, ha chiesto un nuovo referendum sull'indipendenza prima della fine del negoziato: la May non glielo può negare ma ha il potere di rinviarlo per evitare che l'uscita dalla Ue coincida anche con la fine del Regno Unito. Infine, la grandiosa dimostrazione a favore del remain tenuta a Londra sabato le ha ricordato che, se oggi metà del Paese festeggerà, l'altra metà sarà in lutto; perfino tra i conservatori la corrente contraria a una Brexit dura si sta rafforzando. Molti sono addirittura convinti che, se gli elettori si fossero resi conto delle difficoltà connesse al divorzio dall'Europa, l'esito del referendum sarebbe stato diverso.
Fino a quando il negoziato non sarà avviato (l'inizio coinciderà con il Consiglio europeo di maggio) non cambierà nulla, ma i problemi che si profilano all'orizzonte sono enormi. Anzitutto, Londra rischia di dover rinunciare alla sua posizione di capitale finanziaria dell'Europa: dopo la fuga già annunciata di alcune grandi banche europee e americane, ora perfino i Lloyds, una delle più antiche e riverite istituzioni inglesi, hanno deciso di trasferire parte dei loro uffici sul continente. L'esodo comporterà non solo una riduzione del Pil, ma anche la perdita di molti posti di lavoro. C'è poi il pericolo di un crescente isolamento, visto che il tentativo della May di rilanciare subito la «relazione speciale» con gli Usa di Trump non ha dato risultati.
Inoltre, il ripristino delle frontiere con i Paesi Ue porterà una marea di complicazioni. Bisognerà separare di nuovo l'Irlanda, che rimarrà nella Ue, dall'Ulster dove nel referendum hanno vinto i «No» e sta pertanto rinascendo la spinta verso una separazione da Londra e una «riunificazione» con Dublino. Drammatica potrebbe diventare la situazione di Gibilterra, decisa a rimanere nel Regno, ma che dipende per il suo funzionamento da 10mila frontalieri spagnoli che, in caso di Brexit dura, avrebbero bisogno di permessi speciali.
Neppure l'Europa ha molto da rallegrarsi: con l'uscita della Gran Bretagna, perderà un ottavo della popolazione, unsesto del Pil, un seggio permanente al Consiglio di sicurezza, metà del suo deterrente nucleare e il Paese che più ha contribuito a dare alla Ue un'impostazione liberista.
Ci sarebbero perciò mille ragioni per raggiungere un accordo amichevole, ma da entrambe le parti si sono accumulati risentimenti e rancori. Una sola cosa è certa: i prossimi due anni saranno un continuo, durissimo braccio di ferro.
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