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Londra e quel solco con l'Ue (ma l'isola ci ha resi migliori)

Domani il Regno Unito esce dall'Europa senza esserci mai entrato. Eppure ha segnato la storia del continente

Londra e quel solco con l'Ue (ma l'isola ci ha resi migliori)

Ci siamo. Il Regno Unito esce dall'Europa. A pensarci bene, non ci era mai entrato. La sterlina non aveva ceduto al boa constrictor dell'euro. La guida a sinistra era e rimane un must dell'Impero. Aveva previsto tutto il Times quando titolò «C'è nebbia sulla Manica, il continente è isolato». Erano i favolosi anni Trenta, prima della seconda guerra, prima che quella stessa nebbia si alzasse per far posto a sangue, sudore e lacrime, alla sofferenza di un Paese che si vide arrivare in casa la guerra altrui, che combatteva da tempo i tedeschi, al punto da costringere la casa reale a cambiare il nome dell'insegna, basta con Sassonia-Coburgo-Gotha e avanti Windsor.

L'Inghilterra ha da sempre voluto mantenere le proprie abitudini, il proprio stile, considerando, per superiority complex, il resto del mondo al servizio di Sua Maestà, fosse questo un re o una regina. Ha saputo farlo con quella supponenza e con quel fair play che è distante un oceano e più dai cow boys americani, sguaiati e attaccati all'«arrivano i nostri». Hanno lanciato le mode musicali e di abbigliamento, dai Beatles a Mary Quant, punti di riferimento di nuove generazioni, la swinging London fu l'avvio di una rivoluzione culturale in ogni settore, dal cinema all'arte, passando appunto per la musica. Blow up del nostro Michelangelo Antonioni resta una didascalia di quel sentire nuovo, di quella atmosfera che era rivoluzionaria nei costumi.

L'Inghilterra come isola del piacere e della trasgressione, se i Beatles diventarono baronetti i Rolling Stones erano davvero pietre rotolanti nel museo delle cere della Old England. Mai il Regno ha dato l'impressione di essersi affiancato a noi europei, il Canale è più alto e più solido di un Muro. Se sei stanco di Londra, sei stanco della vita, fu la prima cosa che un qualunque turista imparava sbarcando a Heathrow, per imbattersi poi nella lingua pronunciata come Stanlio e Ollio, con quel senso quasi di disprezzo per lo straniero. Il the alle cinque, i cab neri, nel senso dei taxi Austin, con uno sterzo capace di poter girare in un salotto, i red bus a due piani, le cabine telefoniche dello stesso colore, la sterlina e Trafalgar square, poi Buckingham, poi Covent Garden, Hyde Park, i castelli della Scozia, Belfast e il terrorismo Ira, la Thatcher e il principe Filippo, i corrispondenti della Rai, da Paternostro a Caprarica, tutti stanziali nel centro della capitale, tutti informati dei vizi e capricci della famiglia regnante ma assolutamente lontani e assenti dagli altri problemi della città, della periferia affollata di immigrati (oggi dicesi migranti, oh yes), di Brixton, il quartiere nero dove i tassisti non ti portano se non al primo marciapiede, zone a rischio, dunque meglio presentarsi e farsi inquadrare davanti al Big Ben o a Westminster, fa fine e serve a garantire il salario mensile da Roma.

Dico di Wembley, lo stadio imperiale e degli altri siti di football, templi esclusivi per chi ama questo sport, così il rugby, il cricket, la corsa dei cani, le freccette, l'ippica e il Derby di Epsom con la fauna degli allibratori. E le elezioni politiche, obbligatoriamente al giovedì, ultimo giorno prima della paga che garantisce la puntuale sbronza, dunque Drunk Friday, pericoloso per andare al voto. E il week end per il giardinaggio e il golf. Tutta roba che resiste alle intemperie e alle nuove abitudini, ecco perché l'uscita dall'Europa comune non era soltanto prevedibile ma prevista, scontata, opportuna.

Agli inglesi non interessano i guai italiani, le astuzie francesi, la testardaggine tedesca, popolazioni simpatiche fino al momento in cui smammano e lasciano l'isola per tornare nei rispettivi domicili. I sudditi del regno vivono a fatica i cambiamenti, preferiscono conservare abitudini antiche e storiche. Scriveva Groucho Marx che quando a New York sono le sette del mattino, a Londra è l'1 di gennaio del 1949. Non era soltanto una battuta felicissima ma la didascalia per capire usi e mentalità di un Paese che aspetta l'ora X, quella della Brexit per sentirsi ancora più libero, meno dipendente da scelte e decisioni che non condivideva ma ha dovuto accettare. L'Inglese ritiene che l'Europa, quest'Europa, sia archeologia mentre l'isola britannica sia modernità nella conservazione di valori e stili. Forse ha ragione se controlliamo i connotati del vecchio continente, se diamo un'occhiata al portafoglio, se spostiamo le tende di casa per sbirciare fuori, come ha fatto Elisabetta II per il suo quasi secolo di sovranità. Il Regno conserva il suo fascino, anche se lontano dalla comunità, l'orgoglio dei suoi abitanti supera gli ostacoli, i dazi, i compromessi politici e finanziari che sono sul tavolo delle trattative.

Dio continuerà a salvare la Regina.

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