La Gran Bretagna deve e può ottenere «sostanziali e significative riforme» da Bruxelles prima del 2017 oppure essere pronta a lasciare l'Unione europea. È ossessione immigrazione a Londra. Non c'è giorno che passi senza che il tema sia al centro del dibattito politico nel Regno Unito. Ormai è il controllo delle frontiere il fulcro attorno al quale il Paese gioca tutta la sua partita con l'Unione europea e il governo di David Cameron quella con gli elettori. Ieri è toccato al Foreign Office alle prese con la minaccia islamica dell'Isis, la crisi in Ucraina e l'emergenza Ebola in Africa avvertire più esplicitamente Bruxelles che l'urgenza britannica - cioè la limitazione dei flussi d'ingresso - potrebbe diventare presto emergenza di tutta Europa se agli inglesi non sarà dato quello che chiedono. Il ministro degli Esteri Philip Hammond, il più euroscettico dei rappresentanti dell'esecutivo, si spinge persino più in là del capo del governo (che finora ha lasciato intendere ma non ha esplicitato): «Siamo nelle fasi iniziali dei negoziati e prima di tutto mai, mai avviare un negoziato senza essere pronti ad alzarsi dal tavolo e andarsene. Dobbiamo essere pronti». Cioè il Regno Unito deve essere preparato all'uscita dall'Unione se Bruxelles frenerà sulle riforme chieste dalla Gran Bretagna in tema di immigrazione.
È un avvertimento che dà il peso della posta in gioco e dei nervi tesi a Downing Street e dintorni. Tra quattro giorni si gioca una partita elettorale cruciale a Rochester and Strood dove l'Ukip, il partito euroscettico e anti-immigrati di Nigel Farage, con molta probabilità strapperà il suo secondo seggio al Parlamento di Westminster dopo che Mark Reckless, deputato Tory che godeva di ampi consensi nel collegio, ha abbandonato i Conservatori proprio per il partito di Farage e proprio in polemica per l'inerzia del governo sul tema dell'immigrazione e dei rapporti con Bruxelles. Incalazati a destra dall'Ukip, i Conservatori devono dimostrare agli elettori di essere forti e capaci di trattare un buon compromesso con l'Europa oppure tenersi pronti a lasciarla con un voto nel referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione, che Cameron ha promesso per il 2017 e nel quale Hammond ha già annunciato che voterebbe a favore dell'addio.
Al tavolo delle trattative con gli alleati dell'Unione, la strada è stata finora in salita per il premier e i suoi. La Germania non ne vuole sapere di introdurre «quote immigrati» o di modificare i Trattati limitando la libera circolazione delle persone. Ma Hammond si dice «molto più ottimista» sulla possibilità di trovare una soluzione perché «ho scoperto che quando entravo nelle stanze e dicevo questo è il nostro problema, la gente mi rispondeva, ti capiamo perfettamente, è un problema anche per noi». L'Unione, insomma, non è sorda. E la chiusura delle trattativa potrebbe essere solo questione di forma più che di sostanza. Perciò meglio evitare l'espressione «quote immigrati» ma puntare comunque alle quote e meglio non modificare i trattati ma eluderli. «Se metti sul tavolo una parola come quote, provochi immediatamente una chiusura. Ci sono termini che rendono le cose difficili. Parlerei piuttosto di un meccanismo che alla fine ci regalerebbe lo stesso risultato». Quanto alla libera circolazione, Hammond sa di dover puntare a un cambiamento che non modifichi i Trattati ritenuti intoccabili dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel ma che arrivi comunque a un obiettivo che gli si avvicina molto, una «interpretazione elastica» dei Trattati. Oppure chiudere la partita.
Il messaggio agli inglesi è chiaro: «Se la vostra ambizione è il controllo totale delle nostre frontiere, ciò è incompatibile con l'appartenenza all'Unione europea». Londra potrebbe perciò dire addio alla Ue. E gli inglesi di Rochester, tra quattro giorni, sbattere la porta in faccia a Bruxelles e mandare un avviso di sfratto a Cameron.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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