Gaia Cesare
Gli immigrati europei, tra cui moltissimi italiani pronti a trasferirsi nel Regno Unito, sono la prima posta in gioco nel braccio di ferro che Londra apre con l'Unione Europea. Se arriveranno in massa, nel tentativo di entrare nel Paese prima che abbia formalmente lasciato l'Unione, il Regno Unito potrebbe rispedirli a casa o addirittura bloccarne l'ingresso. Parola (e minaccia) di David Davis, ministro per la Brexit fresco di nomina nel nuovo esecutivo di Theresa May, abile ma duro negoziatore non a caso soprannominato «Monsieur Non» (Signor No) oppure «l'affascinante bastardo» quando negli anni '90 fu viceministro con incarico sull'Europa nel governo Major.
Ora che la nuova leader di governo ha scelto lui, ex membro delle Sas (i corpi speciali dell'esercito) e un duro della Brexit come uomo delle trattative con Bruxelles (si è rotto il naso cinque volte per aver fatto a pugni e una fu per difendere un ragazzo gay), le cose potrebbero complicarsi per migliaia di italiani (almeno 57mila nel 2015) ma anche di francesi, polacchi e romeni pronti a decollare verso il Regno Unito a caccia di un lavoro. Lo spiega lui stesso in un'intervista al Mail on Sunday, la prima dopo la nomina «a sorpresa» visto che con la neo-premier May avevano litigato in passato. «Potremmo dover dire che il diritto a rimanere a tempo indeterminato si applica solo prima di una certa data, ma queste decisioni vanno prese guardando alla realtà, non si possono fare speculazioni», aggiunge spiegando che per ora si tratta solo di un'ipotesi ma che il mandato degli inglesi è stato «stupefacente» e che «la Commissione europea deve capire che l'opinione pubblica inglese è stata chiara su una questione: vuole riguadagnare il controllo delle proprie frontiere».
L'obiettivo di Davis, cresciuto in una casa popolare da una mamma single e poi studente di una grammar school (la scuola pubblica per bimbi dotati frequentata anche dalla May) è mettere un freno all'immigrazione per andare incontro a quella working class da cui lui stesso proviene. E che - spiega - è stata decisiva per la vittoria della Brexit nel Nord e nelle Midlands ma ha visto in questi anni la disoccupazione crescere e i salari restare invariati. Alla fine, secondo il ministro, l'Europa se ne farà una ragione: «La rabbia iniziale lascerà posto all'interesse comune», compreso quello di tutelare e «raggiungere un accordo generoso per i migranti europei già qui (3 milioni, ndr) e per gli inglesi che vivono in altri Paesi europei come la Francia e la Spagna», circa 2 milioni.
Quanto al momento in cui premere il grilletto dell'Articolo 50, anche Davis conferma che sarà con calma, a fine anno, al massimo all'inizio del 2017 in modo che l'uscita si concluda nel 2019. Anche perché bisognerà prima trovare un'intesa per l'unità nazionale. May sarà oggi in Galles mentre la Scozia sventola l'ipotesi di un nuovo referendum per l'indipendenza.
Il ministro Davis, a differenza della premier che cerca la conciliazione, dice categorico: «Edimburgo non può porre un veto sull'uscita».Nel frattempo il Regno Unito è già al lavoro sui contratti commerciali - «molto incoraggianti» con 12 Paesi, Stati Uniti e Australia in testa. «Stiamo cambiando la storia», promette il «Signor No».
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