Londra, scandalo sangue infetto

Inchiesta di 6 anni: 30mila contagi da epatite e Hiv, 3mila i morti. "I governi sapevano"

Londra, scandalo sangue infetto
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Trentamila contagi, 3mila decessi. A cinquant'anni dalla prima trasfusione il Regno Unito fa i conti con il più grande scandalo nella storia del servizio sanitario nazionale. Ieri, la commissione parlamentare coordinata da Sir Brian Langstaff (nella foto) ha dichiarato «inaccettabili» i rischi a cui sono stati esposti, tra '70 e '91, migliaia di pazienti a cui è stato somministrato sangue infetto proveniente dagli Usa. «Non si è trattato di un incidente - afferma la relazione di 2.527 pagine - e avrebbe potuto essere largamente evitato». I governi invece, assieme alle autorità del servizio sanitario, hanno tradito la fiducia del pubblico, scegliendo di «non mettere la sicurezza dei pazienti al primo posto».

Un verdetto inequivocabile e durissimo, sebbene tardivo, risultato di battaglie durate decenni da parte dei parenti delle vittime le cui voci dolorose sono state a lungo ignorate. Tutto è stato abilmente insabbiato e si è dovuti arrivare fino al 2018 perché venisse aperta un'inchiesta. Nel rapporto i numeri sono impressionanti. Più di 3mila pazienti affetti da emofilia, patologia che richiedeva trasfusioni, o che avevano semplicemente partorito con complicanze in quel periodo, sono morti. Circa 1.250 sono stati infettati con l'Hiv, di questi 380 erano bambini e un centinaio emofiliaci. Altri 6mila hanno preso l'epatite C, molti non hanno mai ricevuto una diagnosi esatta. «Molte vite sono state distrutte - si legge ancora - e in tanti hanno dovuto patire lo stigma associato ad Hiv ed epatite C». I rischi legati all'infezione da trasfusioni erano ben conosciuti da tutti i governi a partire da allora, eppure nessuno prese la decisione di sospendere le licenze d'importazione, sebbene si sapesse che non venivano effettuati gli opportuni controlli e che spesso, a donare il sangue, erano soggetti a rischio come tossicodipendenti, visto che le donazioni erano a pagamento. Benché consapevoli dei grossi rischi a cui andavano incontro i pazienti molto spesso i medici non li informavano dei trattamenti alternativi, molti non hanno mai saputo di essere stati contagiati e quando è accaduto spesso le informazioni sono state date in modo insensibile e inappropriato. Ma quello che è più grave è che fino a ieri nessun governo o autorità medica ha ritenuto opportuno scusarsi, figurarsi offrire un risarcimento.

Non c'è stato un complotto, ma il tentativo di salvare faccia e portafoglio, «anche con la distruzione deliberata di documenti fondamentali.

Adesso - raccomanda la relazione - è tempo di pensare ad adeguate compensazioni per le vittime e cambiare la cultura di omertà che ha prodotto lo scandalo». Peccato che quelli della commissione rimangano soltanto suggerimenti.

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