È l'unico che fa campagna elettorale, senza sosta, da un mese, da quando ha lanciato il suo nuovo partito. È l'unico che ha le idee chiare sulla questione cruciale per il futuro del Paese: l'uscita dall'Unione europea. Ed è l'unico che guida un gruppo dove tutti la pensano allo stesso modo sul divorzio da Bruxelles: si deve fare, presto, e non portarlo a compimento è un tradimento della volontà popolare e un'umiliazione per il popolo britannico. Si spiega così il successo di Nigel Farage e del suo rampante Brexit Party. Un'ascesa che potrebbe non solo superare il risultato di cinque anni fa, quando l'Ukip fondato e guidato da Farage diventò primo partito alle Europee del 2014 con il 27% dei voti e 24 seggi, ma potrebbe persino sbaragliare in un colpo solo i due partiti inglesi principali messi insieme. Secondo un sondaggio Opinium per l'Observer, il Brexit Party di Farage è al 34% nelle intenzioni di voto degli inglesi, avanti di ben 13 punti percentuali rispetto al Labour, che si ferma al 21%, e riceve il triplo dei voti dei Conservatori della premier Theresa May, inchiodati all'11% e più della somma dei due principali partiti britannici messi insieme. Un dato catastrofico soprattutto per i Tory, perché va oltre la batosta di cinque anni fa, quando il partito di governo arrivò terzo alle Europee. Un dato (confermato da un altro sondaggio Comres) che relega i Conservatori addirittura al quarto posto, dopo i Liberaldemocratici (pro-Europa) avanti di un punto, al 12%. Il messaggio è chiaro: mentre laburisti e conservatori sono spaccati e tergiversano sull'uscita dalla Ue, il vento soffia a favore della Brexit. E di un addio netto e duro, senza accordo con Bruxelles. Un dato stupefacente se si pensa che queste avrebbero dovuto essere le elezioni europee senza il Regno Unito. Un esito invece abbastanza prevedibile se si guarda al disastro politico dei tre anni seguiti al referendum sulla Brexit. Con la premier May chiamata a indicare prima possibile (giovedì davanti al Comitato 1922) la data del suo addio.
Il dato inglese, se confermato dal voto del 23 maggio (il Regno Unito andrà alle urne giovedì), renderà ancora più significativo il compito di Emmanuel Macron, il presidente francese che punta a formare un nuovo gruppo (né di destra né di sinistra), che vada oltre il Partito popolare europeo (Ppe) e l'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo (S&D) e diventi terzo quanto a numero di eurodeputati, da sommare ai liberali dell'Alde guidati da Guy Verhofstadt, che si sono sciolti e si uniranno ai macroniani. Ma il muro anti-sovranista che vuole alzare il leader de La Republique En Marche (Lrem) contro Matteo Salvini e la sua Alleanza europea dei popoli e delle nazioni rischia di ridimensionarsi di fronte a un secondo possibile successo bis di Marine Le Pen. La leader dell'ultradestra, vincitrice anche lei, come Farage, delle Europee del 2014, è avanti, anche se di un soffio, in un nuovo sondaggio Harris Interactive (per Tf1-Lci e Rtl) in cui il Rassemblement national è al 22,5% contro il 22% della lista «Renaissance» legata al presidente, e guidata da Nathalie Loiseau. In queste ore madame Le Pen non ha smesso di picchiare duro sul capo dello Stato, accusandolo di aver accolto «come eroi» i tre turisti, definiti «incoscienti», liberati con un blitz delle teste di cuoio costato la vita a due militari francesi, dopo il sequestro in Burkina Faso per mano di gruppi jihadisti.
L'avanzata dei sovranisti nel Parlamento europeo rischia di far perdere a socialisti e popolari, per la prima volta, la maggioranza (376 seggi) finora detenuta
insieme. I partiti europeisti restano saldamente in testa (465 seggi circa, secondo le previsioni) ma l'avanzata della Lega, il ritorno di Farage e l'avvento di Vox in Spagna porteranno i deputati anti-Ue a quota 258 circa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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