Ai giornalisti in volo con lui verso New York, dove si stava recando per partecipare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Boris Johnson ha spiegato perché il governo inglese ha deciso di negare i circa 150 milioni di sterline necessari per tenere in vita Thomas Cook, inducendo così i creditori a staccare la spina. Ha parlato di moral hazard, un incentivo che avrebbe indotto lo stesso operatore turistico o altri attori a comportarsi male in futuro, tanto paga Pantalone.
La scelta del governo di staccare la spina costerà ai contribuenti inglesi, secondo le stime, 600 milioni di sterline tra rimborsi ai clienti e necessità logistiche. Miope quindi non concederne 150 per cercare di mantenere in vita la società? Oltre a calcoli economici, ci sono certamente anche valutazioni politiche da tenere in considerazione (il ministro ombra McDonnell, esponente di punta del Labour, ha dichiarato che il governo avrebbe dovuto scegliere il salvataggio). Tuttavia i numeri sono impietosi. Il gigante inglese del turismo aveva accumulato un debito di oltre 2 miliardi di dollari a fronte di una perdita registrata nel primo semestre del 2019 di quasi un miliardo e mezzo di sterline. Le difficoltà economiche stavano inducendo le compagnie aeree e le catene alberghiere a chiedere maggiori garanzie per le prenotazioni a fronte di un numero sempre minore di clienti che decidevano di fidarsi del colosso inglese. «Temo che i soldi del governo li avrebbero tenuti a galla per un periodo molto breve», ha commentato il ministro dei Trasporti Grant Shapps. Secondo Reuters, Thomas Cook avrebbe dovuto vendere 3 milioni di viaggi all'anno solamente per ripagare gli interessi del debito. Un macigno.
Gli ultimi a credere nel rilancio societario sono stati i cinesi di Fosun, già proprietari di ClubMed, che in agosto hanno investito 450 milioni di sterline rilevando il 75% della divisione tour operator e il 25% della compagnia aerea che fa capo all'operatore inglese. La decisione faceva parte di un piano di salvataggio complessivo di 900 milioni, con la partecipazione anche di banche e creditori. Il totale è poi lievitato di 200 milioni che hanno spinto il gruppo inglese a chiedere l'aiuto governativo. Il collasso societario è un risultato che viene da lontano: gli azionisti nel 2007 avevano in portafoglio titoli che valevano 3 sterline, scesi vorticosamente durante la crisi del 2011 per recuperare parzialmente entro la fine del 2014. Venerdì, ultimo giorno di contrattazioni prima di essere sospese, hanno chiuso a 3.45 centesimi. Una perdita catastrofica dove c'è tuttavia chi è riuscito a guadagnare. Tra questi gli hedge fund che hanno deciso di scommettere contro Thomas Cook puntando sul ribasso delle azioni.
Non è conosciuto al momento l'ammontare di questi guadagni, si sa però che le scommesse sono state ingenti: alcuni hedge fund hanno dovuto dichiarare all'Autorità di Controllo Finanziaria inglese il loro investimento, avendo superato le soglie di legge che fanno scattare l'obbligo di comunicazione. Ci sono poi anche i detentori di Cds, i credit default swapt, i derivati che consentono di coprirsi contro il rischio di fallimento, i cui valori negli ultimi mesi sono esplosi.
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