Dopo Tullio Del Sette, tocca a Luca Lotti. Anche l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ora promosso a ministro dello Sport, secondo il Fatto è tra gli indagati dell'inchiesta napoletana sulla presunta corruzione negli appalti Consip, nel filone che, stralciato, è stato già trasmesso a Roma, all'attenzione del procuratore capo Giuseppe Pignatone.
Pure l'uomo di fiducia di Renzi, così come il comandante generale dell'arma dei carabinieri, Tullio Del Sette - interrogato dai magistrati di Napoli già ieri - sarebbe finito nel registro degli indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto. Insomma, Lotti avrebbe invitato l'ad della Consip Luigi Marroni (suo amico) a stare in guardia dall'imprenditore Alfredo Romeo (al centro dell'inchiesta principale e indagato per corruzione), e così avrebbe fatto pure un altro generale dei carabinieri, il comandante della legione toscana Emanuele Saltalamacchia, anche lui secondo il Fatto amico di Marroni, finito indagato pure lui.
Quanto a Del Sette, invece, il numero uno dell'Arma avrebbe raccontato dell'inchiesta, a quanto riferito ai pm da Marroni, al presidente Consip Luigi Ferrari. E Ferrari l'avrebbe poi riferito a Marroni. L'amministratore delegato, a quel punto, avrebbe provveduto a fare in fretta e furia una bonifica degli uffici, trovando effettivamente le cimici piazzate dagli investigatori, quelle grazie alle quali la procura di Napoli stava ascoltando quanto avveniva nella centrale acquisti della pubblica amministrazione.
Insomma, per arginare il pericolo che Consip e i suoi vertici insistessero nelle relazioni pericolose con l'imprenditore napoletano, con conseguenti rischi di «contaminazione» dei manager, ci sarebbe stato una sorta di allarme generale, con warning piovuti da Del Sette, Saltalamacchia e Lotti. Il tutto in un'indagine che, secondo quanto ipotizza il Fatto, potrebbe riservare più di qualche imbarazzo anche al papà dell'ex premier, Tiziano Renzi, non indagato ma in rapporti con l'imprenditore toscano Carlo Russo, collegato anche a Marroni e lambito a sua volta dall'inchiesta.
Va ricordato che a tirare in ballo Lotti in questa indagine era già stato un imprenditore napoletano, concorrente di Romeo su un importante appalto, che aveva riferito ai pm di un pranzo a Roma a maggio 2015 tra lo stesso sottosegretario, Romeo e l'ex deputato e amico dell'imprenditore Italo Bocchino (che ha smentito). A pochi mesi prima - febbraio dello stesso anno - risale invece l'intercettazione dell'ex tesoriere del Pd campano, Alfredo Mazzei, che riferiva a Romeo di aver parlato «con Matteo e Luca», lasciando ai due degli appunti.
Insomma, una nuova grana per il segretario dem e per i suoi amici. E, a caldo, a replicare è arrivato proprio Lotti, che ha proclamato la sua estraneità con un post su Facebook ieri mattina, dopo aver letto sul Fatto di essere stato iscritto nel registro degli indagati a Napoli. La notizia del guaio giudiziario, commenta il neoministro, «è una cosa che semplicemente non esiste». Ma anche se «non esiste», Lotti ha aggiunto di essere tornato subito a Roma «per sapere se la notizia corrisponde al vero e, in tal caso, per chiedere di essere sentito oggi stesso». Con ogni probabilità, invece, sarà sentito dopo Natale, quando - spiega il suo avvocato Franco Coppi - i pm avranno avuto il tempo di legge le carte.
Lotti, comunque, si dice tranquillo, parla al plurale («Noi non scappiamo dalle indagini: siamo a totale disposizione di ogni chiarimento da
parte dell'autorità giudiziaria») e non ha dubbi sul fatto che «la verità» sia «più forte di qualsiasi polemica mediatica». Di sicuro la verità sull'indagine a carico del ministro è nelle carte sulla scrivania di Pignatone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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