Una sentenza impeccabile, basata sulla semplice lettura della legge e accompagnata dal buon senso, è diventata ieri uno scandalo nazionale, scatenato e sorretto da svarioni giornalistici, improvvisate dichiarazioni politiche e indignazioni di intellettuali. Tema scottante: lo stupro di una donna. Due imputati, assolti in primo grado, vengono condannati in appello. La pratica approda in Cassazione, e cosa fa la Cassazione? Assolve gli imputati? Scrive che essendo la donna ubriaca al momento dei fatti se l'era cercata? No, niente di tutto questo. I due sono colpevoli, dice anche la Cassazione. Anche se la donna non si era opposta a fare sesso con i due uomini, il suo consenso non contava nulla, perché essendo ubriaca non era padrona delle sue azioni. Sacrosanto. E allora perché tanto clamore, con la piddina Alessia Riotta che dice «è una sentenza che rischia di vanificare anni di battaglie»? L'unico punto su cui la Cassazione è intervenuta è una aggravante prevista dal codice penale, all'articolo 609 ter, che aumenta la pena fino a dodici anni se lo stupro è commesso «con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti». Il senso della norma è chiaro: colpire chi utilizza la «droga dello stupro», chi punta una pistola alla testa di una ragazza, chi la fa ubriacare per farle perdere il controllo di sè. Nulla di tutto questo, neanche nella ricostruzione della vittima, era accaduto a Torino. La donna, come era suo diritto, ha bevuto quanto le pareva. I due ne hanno criminalmente approfittato: e non potevano farlo, perché la legge considera stupro chi induce, anche senza violenza, a fare sesso una persona «in condizioni di inferiorità fisica o psichica», come è appunto un ubriaco. Quindi sono colpevoli: questo dice la vituperata sentenza. Un nuovo processo d'appello andrà fatto solo per ricalcolare la pena facendo a meno della aggravante, ma approdando comunque - e su questo i giudici avranno le mani legate dalla Cassazione - alla condanna dei due. Cosa ci sia di scandaloso in questo è un mistero. Un mistero è come si possa tuonare in un articolo che «senza consenso un atto sessuale è sempre uno stupro», che «il consenso non lo si può esprimere quando ci si trova in uno stato di confusione mentale», e chiedersi infine «qual è allora la ratio della decisione dei giudici della Corte di Cassazione?». Eppure i giudici della Cassazione abbiano scritto proprio le medesime cose!
E allora cos'è successo, cosa ha trasformato una sentenza ovvia in un caso nazionale?
Banalmente: è successo che gli articoli si scrivono sempre più in fretta e sempre peggio, che la gente li legge sempre più in fretta e sempre peggio. E che i politici e gli intellettuali parlano a vanvera di cose che non sanno.
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