Politica

Il delirio di Lucano: "Ora indagate il Viminale"

Lo sfogo dell'ex sindaco di Riace il giorno dopo la condanna a 13 anni e due mesi: "Mi chiamavano San Lucano in Prefettura perché gli risolvevo i problemi degli sbarchi". Intanto Carola Rackete lo difende

Lucano: "Se c'è associazione a delinquere coinvolti anche Viminale e Prefettura"

Il giorno dopo la pesante condanna in primo grado a 13 anni e due mesi per illeciti nella gestione dei progetti per l'accoglienza dei migranti, Mimmo Lucano chiama in causa lo Stato. E come bersaglio punta decisamente in alto. "Quando parlano di associazione a delinquere - dice l'ex sindaco di Riace - dovevano mettere insieme a me anche il ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria perché allora mi chiamavano 'San Lucano' in Prefettura perché gli risolvevo i problemi degli sbarchi".

E prosegue: "A Riace c'era un'organizzazione dell'accoglienza, c'erano le associazioni, le coop e alla fine lo Stato mi ripaga dicendo che ho fatto l'associazione (a delinquere, ndr). Allora se ho fatto l'associazione anche loro sono partecipi perché mi chiedevano numeri altissimi per un piccolo borgo ai quali dicevo sì per la mia missione. E lo Stato come mi ripaga? Dandomi 13 anni e 2 mesi".

Per difendersi Lucano ricorda Becky Moses, la 26enne della Nigeria morta nel gennaio 2018: "Per due anni ha vissuto a Riace ed era felice. Partecipava alle manifestazioni, alle feste. Era venuta a Riace, nel mio ufficio, per chiedere la carta d'identità e gliela ho fatta. E questo non me l'hanno mai contestato anche se le mancava il permesso di soggiorno. E dove è andata a finire Becky? Nella baraccopoli di San Ferdinando, nel mondo degli invisibili dove ha incontrato la morte. La sua capanna ha preso fuoco ed è morta bruciata viva. Per 4 mesi i suoi resti sono rimasti nell'obitorio. Mi hanno chiamato e adesso è nel cimitero di Riace, l'unico luogo che ha tentato di dare dignità alla sua vita da viva e da morte. Per quella morte spero un giorno ci sia giustizia e che qualcuno si ricordi di lei, qualcuno deve rispondere".

In un colloquio con La Stampa Lucano afferma di non avere i 500mila euro ricevuti dall'Unione europea che il tribunale l'ha condannato a restituire: "Tutti questi soldi? Ma quali soldi. Io non ho più nemmeno gli occhi per piangere. Basta, oggi per me finisce tutto. Mia moglie fa un lavoro umile, pulisce le case delle persone. Non ho proprietà, non ho niente, completamente, vado avanti così, con nulla. Non ho un centesimo per pagarmi gli avvocati".

Lucano si sente vittima di uno perverso meccanismo mediatico-politico-giudiziario che si è stretto come una morsa intorno a lui. "Dietro la mia condanna ci sono ombre poco chiare - dice in un'intervista al Corriere della sera -. Un magistrato molto importante, un politico di razza, hanno dall'inizio cercato di offuscare la mia immagine, il mio impegno verso gli immigrati, i più deboli. Mi aspettavo un'assoluzione piena - spiega -. Io non mi sono mai lasciato intimidire da nessuno. Per ora hanno vinto loro, ma siamo solo al primo grado. Ci sarà l'appello".

Il caso Lucano ha diviso l'opinione pubblica e, ovviamente, anche la politica. A difesa dell'ex sindaco arriva l'attivista tedesca Carola Rackete: "La criminalizzazione colpisce molti - scrive in un tweet - ma a esserne più colpite sono le persone che fanno qualcosa. Molti di questi casi passano del tutto sotto silenzio e noi, come società civile, non dobbiamo guardare dall'altra parte. La sentenza di Mimmo Lucano, o di chiunque si esprime in favore e pratica la solidarietà è un enorme scandalo".

Anche queste parole, siamo certi, contribuiranno ad alimentare la polemica.

Commenti