L'Ue s'è desta. Successo sui sieri

L'Europa s'è desta. Durante tante crisi non le abbiamo risparmiato le critiche più dure, ma stavolta, ammettiamolo, ha fatto il suo dovere

L'Ue s'è desta. Successo sui sieri

L'Europa s'è desta. Durante tante crisi non le abbiamo risparmiato le critiche più dure, ma stavolta, ammettiamolo, ha fatto il suo dovere. Anzi meglio del suo dovere. Nella corsa ai vaccini ha preferito l'azione al mero calcolo burocratico superando le regole che le imponevano di lasciare ai singoli stati le competenze sanitarie. Se si fossero rispettati quei vincoli le sei aziende farmaceutiche disposte oggi a fornirci il miliardo e 300 milioni di dosi indispensabili per vaccinare i cittadini dei 27 Paesi europei non sarebbero in grado di soddisfare la richiesta. E le aziende più avanti nella ricerca preferirebbero probabilmente l'America alle singole nazioni europee.

All'interno del Continente si sarebbe replicata, invece, la triste guerra dell'egoismo già vista lo scorso marzo quando Francia e Germania bloccarono i carichi di mascherine destinati all'Italia. Stavolta invece l'Europa ha capito la lezione. Memore dei disastri incassati all'inizio della pandemia e durante la crisi dei migranti del 2015 ha compreso che la sua funzione non è misurar vongole e banane, ma offrire risposte efficaci alle emergenze sovranazionali. Certo senza la forzatura di Italia, Francia, Germania e Olanda firmatarie a primavera di un contratto con Oxford/Astra Zeneca l'Europa sarebbe andata incontro al solito flop. Ma stavolta, invece di rimediare con la solita toppa, s'è data un vestito interamente nuovo creando le condizioni per garantire una risposta celere e immediata non solo al Covid, ma a tutte le future emergenze sanitarie.

Tutto inizia a giugno quando in risposta al contratto firmato dai quattro Paesi membri la Commissione vara la sua strategia vaccinale. Grazie a essa l'italiana Sandra Gallina, capo della direzione generale Salute Ue, riceve in dote il fondo da oltre due miliardi che le consente di avviare negoziati con sei grandi aziende farmaceutiche per il finanziamento della ricerca e il successivo acquisto delle dosi di vaccino destinate ai Paesi europei. Ma quel miliardo e 300 milioni di dosi, di cui 12,5 milioni già arrivate in Italia e nei 27 Paesi Ue, sono solo la punta dell'iceberg.

Dietro alla strategia vaccinale emerge infatti un piano molto più ampio e audace con cui l'Unione europea punta a dichiarare emergenze sanitarie indipendentemente dall'Organizzazone mondiale della sanita, creare piani per la risposta alle pandemie, gestire i dati medici forniti dai singoli Paesi e affrontare, come non è successo a marzo, la carenza di strumenti medici. Il che significa meno sovranità per Stato e regioni in campo medico, ma anche minor conflittualità e minor improvvisazione quando si tratta, ad esempio, di limitare la circolazione delle persone o definire le «zone rosse». E anche meno arbitrarietà politica da parte dei governi (ogni riferimento a quello giallo-rosso non è casuale) nel gestire a proprio uso e consumo le politiche sanitarie.

Insomma se l'esperienza dei vaccini aprirà la strada a politiche sanitarie altrettanto

meritorie, statene certi, nessuno si lamenterà per la porzione di sovranità ceduta all'Europa. Anche perché, a queste condizioni e con questi risultati, meglio cederla a Bruxelles che lasciarla nelle mani di Giuseppe Conte e compagnia.

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