Cronache

Luigi, ultimo parà di guerra che ha vinto anche il virus

Era nella Folgore, combatté i nazisti, a 97 anni vive in una Rsa di Milano: "L'Italia ci ha dimenticati"

Luigi, ultimo parà di guerra che ha vinto anche il virus

Milano Quanti anni ha? «Cento», risponde deciso Luigi Andi. A dire il vero, ne ha qualcuno in meno, 97 precisamente. Ne aveva 20, quando nel 1943 è partito per il militare. «Ero giovane, volevo fare l'eroe», ricorda nel salottino della Rsa milanese che lo ospita in zona Lambrate (incontrato prima dell'emergenza Covid). Per «fare l'eroe», dopo l'8 Settembre scelse di rinunciare a un comodo incarico d'ufficio e di unirsi allo Squadrone Folgore. Un gruppo di giovanissimi soldati italiani che decisero di mettersi al servizio diretto degli Alleati. Luigi Andi è l'ultimo in vita della squadra che partecipò alla storica operazione «Herring» («Aringa»).

«Eravamo al Sud - racconta l'anziano reduce -, sotto il comando del capitano Carlo Francesco Gay, che aveva fondato il reparto di paracadutisti chiamato Squadrone Folgore, decidemmo di seguire gli inglesi. Abbiamo cominciato a risalire l'Italia». Quella scelta dai ragazzi dello Squadrone «F» nel settembre del '43 era una strada scomoda. Il Paese era lacerato tra Alleati e tedeschi. «A Bari guidavo i camion, trasportavo truppe e rifornimenti. Mi ero diplomato al serale in ragioneria, quindi potevo starmene tranquillo in ufficio. Ho chiesto io di andare in missione, il colonnello non voleva. Ma ero 1 metro e 80 e lui era basso, un giorno era in bici e lo blocco. Lo tengo per il sellino, lui fatica a toccare terra. «Lasciami partire!», quasi lo minaccio. Ero un po' incosciente, non avevo famiglia... Volevo far parte di quelli che liberavano l'Italia. E volevo tornare a casa». Il XIII Corpo d'armata britannico ingloba e addestra i paracadutisti guidati da Gay, fornisce l'equipaggiamento. «Risalendo la penisola, Cassino, poi Roma e Firenze, abbiamo subito molte perdite. Eravamo i primi ad avanzare nelle aree nemiche, come ricognitori e sabotatori, sotto il fuoco dei mortai tedeschi per poi occupare una località dopo l'altra. Conoscevamo il territorio e per gli Alleati facevamo il lavoro sporco, il più pericoloso. Eravamo un bel gruppo, ci davamo tutti del tu anche con gli ufficiali. In quei mesi ho visto morire tanti amici...». Molti furono uccisi, mutilati, catturati e seviziati. Verso l'Arno lo Squadrone collabora con i partigiani. Arrivato a Fiesole, trova un po' di conforto: cibo e riposo in un convento di suore. «Ci hanno trattato come figli».

I giorni tra il 20 e il 23 aprile 1945 sono quelli dell'operazione Herring. Il lancio di guerra, l'unico di parà italiani della storia dei conflitti mondiali, avviene sulla Pianura Padana dietro la Linea gotica. Lo scopo è tendere un'imboscata alle armate naziste per sbarrargli la strada e impedirgli di ripiegare. Una strategia disegnata dagli inglesi, 14 aerei arrivati dagli Stati Uniti, un salto tra le braccia del nemico di 200 ventenni italiani (c'erano anche quelli della Centuria «Nembo»). «L'operazione fu un successo - continua Andi -, ogni paracadutista è stato lanciato in un punto diverso. I tedeschi sorpresi alle spalle scappavano, Cosa ci fanno qui gli italiani, si chiedevano impauriti. Ma qui siamo in Italia!, rispondevano i nostri. Dopo il lancio il capitano ha dato il rompete le righe, avevamo esaurito il nostro compito». Lo Squadrone F è rimasto attivo per 18 mesi.

Luigi Andi torna quindi nella casa milanese di via Bergamo, zona Monte Nero. «Milano era distrutta dai bombardamenti, ci siamo messi di buzzo buono per ricostruire».

Si sposerà con Meri, avrà due figli e un nipote, Stefano, che lo segue fin da bambino ai cortei e ai raduni dei reduci e che al nonno eroe ha dedicato la tesi di laurea. Andi riprende il lavoro di linotipista alla Rizzoli, va in pensione nel 1977 dopo 40 anni di servizio e dopo essere diventato capo reparto. «La Fallaci veniva in tipografia a controllare e la facevo arrabbiare tantissimo - ricorda il 97enne -. Perché? Perché le tagliavo gli articoli, altrimenti non ci stavano».

L'impresa dello Squadrone F non è sui libri di storia, soltanto di recente si è tornati a parlarne, nonostante l'unità sia stata tra le più decorate della Seconda guerra mondiale. «L'Italia si è dimenticata di noi - dice Andi con rammarico -, non sono molti quelli che mi chiedono di raccontare». La stessa bandiera di guerra dello Squadrone, che fu ricamata dalle suore di Fiesole nel 1944 con i nomi delle località liberate dai giovani paracadutisti, è rimasta per anni nei magazzini del Museo di storia contemporanea di Milano. Poi la signora Andi scrisse all'allora vicesindaco Riccardo De Corato che restituì il vessillo ai reduci. Ora si trova a Livorno nella sede del 185esimo Reggimento ricognizione acquisizione obiettivi.

I soldati del Rrao, che fanno parte delle forze speciali dell'esercito, sono gli eredi legittimi degli uomini del capitano Gay e presto torneranno a trovare il loro commilitone centenario.

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