La strage dei bimbi in Texas

L'ultima chat del killer: "Sto per sparare"

Ramos era balbuziente. L'ipotesi: strage-vendetta per essere stato bullizzato da piccolo

L'ultima chat del killer: "Sto per sparare"

Il «killer di bambini», 18 anni, era, a sua volta, un «bambino». Malato nella testa. Il suo nome era Salvador Ramos. Freddato dalla polizia, dopo aver compiuto una fra le «stragi scolastica» più cruente della lunga e maledetta «tradizione» americana: 21 morti (19 bambini e due maestre).

Peggio di Ramos, nella disgraziata storia degli Stati Uniti delle armi «in libera vendita», ha fatto solo il 20enne Adam Lanza nel «massacro di Sandy Hook» (27 persone, di cui 20 bambini sterminati il 14 dicembre 2012 in una scuola del Connecticut). Ma l'«estetica» di Salvador (abbigliamento, taglio di capelli, culto del fisico) e il suo «identikit psicologico» ricordano le stesse caratteristiche degli autori della mattanza al «Columbine»: Eric Harris e Dylan Klebol, i baby sicari che il 20 aprile 1997 in Colorado falciarono a colpi di mitraglietta 13 studenti del college.

Anche Salvador (come Adam, Eric e Dylan) era un «ragazzo difficile» che, forse, aveva cercato di «essere fermato», annunciando in anticipo via chat il massacro che, di lì a poco, avrebbero compiuto. Nessuno è riuscito a fermarlo in tempo, forse perché nessuno ha creduto a quel suo proclama di sterminio. Invece era tutto, tragicamente, vero. E ora l'America piange l'ennesimo «eccidio che poteva essere evitato»: una formula-standard, cinicamente ipocrita, in un Paese che sembra non riuscire mai a imparare dai propri errori. A Uvalde, il villaggio rurale texano a metà strada tra San Antonio e il confine messicano, uno come Ramos non passava inosservato. In quella terra di povertà e ricca di pregiudizi dove Salvador («senza lavoro, né amici, né fidanzata, mamma drogata», dice la polizia) aveva avuto la sventura di nascere, anche una lieve balbuzie può diventare uno stigma di emarginazione. E così era accaduto al piccolo Salvador, «perfetto» per essere bullizzato. Lui, povero, con quei tratti del volto vagamente efebici; con quei peli della barba tanto radi da sembrare fili d'erba su un campo arido; con quelle labbra troppo gonfie e rosee. Il contrario del cowboy texano. Lo prendevano in giro. Ramos soffriva. Stratificava frustrazione. Covando vendetta. In più era anche povero. In famiglia i dollari erano contati. E lui, nel giorno del suo 18esimo compleanno i soldi ricevuti in dono li aveva interamente spesi per l'acquisto di due fucili. Quelli usati per la strage nella «sua» scuola elementare. Dove era stato tormentato per anni. Ora, finalmente, era giunto in momento della rivalsa.

Ma Ramos era anche un figlio del suo tempo, «dipendente» da quei social che gli davano forza e a cui lui restituiva debolezza. E infatti, poche ore prima dell'apocalisse, ha contattato su Istagram una ragazza, che ora non sa darsi pace, dicendole che aveva «un segreto» che voleva «condividere»: «Posterai le foto delle mie armi? Sto per...». E lei: «Non ti conosco neppure e mi tagghi con questa foto di armi?». Un presentimento. Troppo poco per capire che Salvador stava per trasformarsi in un killer spietato.

Foto simili, negli States, se ne scattano milioni ogni giorno. Uomini, donne e bambini. Senza eccezione. Tutti abbracciano le loro armi. C'è addirittura chi le bacia. E, perfino, chi le usa per trucidare 19 bambini. Proprio come ha fatto Ramos.

Sognando, per un giorno, di fare il cowboy.

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