L'ultimo scherzetto della manovra: salta l'indicizzazione delle pensioni

Dietrofront del governo sulla rivalutazione degli assegni. Salta anche la flessibilità per le donne

L'ultimo scherzetto della manovra: salta l'indicizzazione delle pensioni

Roma - Prima illusi e poi delusi. I pensionati dovrebbero aver fatto il callo agli annunci del governo Renzi in quanto tendono a essere puntualmente disattesi. Ieri la sorpresa negativa è stata doppia e, purtroppo, ha dovuto farsene ambasciatore il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, nel corso della conferenza stampa relativa ai contenuti della legge di Stabilità in materia previdenziale.

La prima retromarcia è stata particolarmente antipatica. «L'estensione della no tax area per i pensionati vale dal 2017», ha precisato l'ex presidente di LegaCoop. Peccato che proprio nella tarda serata di giovedì il comunicato ufficiale del Consiglio dei ministri avesse reso noto l'innalzamento della soglia di esenzione dall'Irpef per i pensionati da 7.500 euro a 7.750 per gli «under 75» e da 7.750 a 8mila euro per gli ultrasettantacinquenni. «C'è una discussione aperta con la Commissione europea sulle clausole di salvaguardia e qualora vengano concessi ulteriori margini si valuterà come utilizzarli». Il discorso è sempre quello. Senza quello 0,2% di deficit in più non si può far nulla.

Dopo il gancio d'incontro, il diretto ben assestato. Fintantoché non si modifica lo status quo le recriminazioni potrebbero avere anche qualche giustificazione in meno. Ma quando in ballo ci sono soldi che erano stati effettivamente promessi da mesi, la situazione cambia. Anche per la cosiddetta «opzione donna» c'è una clausola di salvaguardia. La norma che consente alle lavoratrici con 35 anni di contributi e 58 anni e tre mesi di età nel 2015 (con decorrenza del pensionamento dal 2016) costa circa 2 miliardi fino al 2021 e, secondo i calcoli dell'Inps guidato da Tito Boeri, interessa una platea di circa 36mila donne. Se gli stanziamenti non fossero sufficienti, si procederebbe bloccando la perequazione degli assegni. In pratica, la rivalutazione degli assegni, prevista dal decreto che ha recepito la sentenza della Consulta, slitterebbe al 2017 se non al 2018 mantenendo in vigore i parametri fissati due anni fa dal governo Letta.

Il resto dell'impianto dovrebbe essere confermato (a questo punto il condizionale è d'obbligo). In primo luogo, la settima salvaguardia per gli esodati che dovrebbe interessare tra i 31mila e i 32mila lavoratori portando il totale a 172mila unità. «Abbiamo concluso il percorso», ha affermato Poletti ricordando che questa misura costa altri 2 miliardi. Sperimentale, invece, è la norma che consentirà il part-time ai pensionandi. Il governo stanzia «per ora 250 milioni per 3 anni» per finanziare il tempo parziale per coloro che, dal 2016, si troveranno a 3 anni dalla pensione. «Se funzionerà - ha aggiunto - la finanzieremo adeguatamente». Il ministro ha precisato che si tratta di «accordi individuali per un part time tra il 40 e il 60 per cento». Il datore di lavoro verserà in busta paga la differenza dei contributi «esentasse», così chi va in part time al 50%, ad esempio, «avrà un salario attorno al 65 per cento».

La misura intende favorire la staffetta generazionale: anche per l'anno prossimo è prevista la decontribuzione per i neoassunti a tempo indeterminato. Vale «per un periodo di due anni (fino al 2018, ndr ) e con un tetto ridotto al 40%», ovvero 3.250 euro l'anno.

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