Politica

L'ultimo sfregio all'Italia: rubate tele per 15 milioni Sparito un pezzo di storia

Lodovica BulianLe immagini delle telecamere di sorveglianza li inquadrano mentre compiono indisturbati il più grave sfregio della storia dell'arte italiana come fosse un furto qualunque. Non lo è. Quei tre uomini vestiti di nero, armati e con il volto coperto si stanno portando via 17 opere, di cui 11 capolavori assoluti, dal Museo di Castelvecchio a Verona. Tintoretto, Rubens, Mantegna, Pisanello, Bellini. Un tesoro stimato tra i 10 e i 15 milioni di euro, letteralmente profanato, giovedì sera, da una banda di professionisti che ha messo a segno il clamoroso colpo poco prima della chiusura dell'edificio. Sono le 20, e per la sicurezza del Castello Scaligero è il momento più vulnerabile: le sale sono vuote di visitatori, c'è un'unica guardia giurata privata a fare l'ultimo giro di controllo e l'allarme non è ancora inserito. All'interno i banditi si separano: mentre uno dei rapinatori sorveglia la custode, immobilizzata con un nastro adesivo, gli altri due si fanno guidare dal vigilante tra le 29 sale espositive dritti all'obiettivo: cinque dipinti di Tintoretto, «Madonna allattante», «Trasporto dell'arca dell'alleanza», «Banchetto di Baltassar», «Sansone» e «Giudizio di Salomone». E poi «Dama delle licnidi» di Peter Paul Rubens, «Sacra famiglia con una santa» di Andrea Mantegna, «Ritratto maschile» della cerchia di Jacopo Tintoretto; «Ritratto di ammiraglio veneziano» della Bottega di Domenico Tintoretto; «Madonna della quaglia» del Pisanello, «San Girolamo penitente» di Jacopo Bellini, «Ritratto di giovane con disegno infantile» e «Ritratto di giovane benedettino» di Giovanni Francesco Caroto, «Porto di mare» di Hans de Jode e «Ritratto di Girolamo Pompei» di Giovanni Benini. Alcune tele vengono estratte dalle cornici, altre se vengono rubate con il supporto. Quando finiscono il «lavoro», è l'auto della stessa guardia, che ha riferito di aver captato un accento straniero nelle poche parole dei malviventi, a consentire loro la fuga. Sul posto la polizia scientifica per i rilievi, mentre le indagini sono affidate al nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri. Ma intanto il bilancio è il più pesante mai visto nella cronistoria dei furti museali per la quantità e il valore dei dipinti. Invendibili sul mercato. Il che farà dire al sindaco di Verona, Flavio Tosi, che fino a notte è rimasto a contare i danni con la direttrice dei civici musei, Paola Marini, 63 anni e in procinto di lasciare l'incarico alla volta della Galleria dell'Accademia di Venezia, che si tratta di «un colpo preparato», di «un furto commissionato». Sapevano cosa prendere e conoscevano il Museo, qualcuno li ha mandati, si sono mossi con abilità». E se il primo cittadino sostiene che «i furti li fanno anche al Louvre», inevitabili le polemiche su come sia possibile che il forziere di un patrimonio che annovera oggetti paleocristiani, opere scultoree dal X al XIV secolo, armature medievali e dipinti dal Trecento al Settecento, fosse presidiato davvero da un'unica, sola, guardia. «Una cosa sconcertante - la definisce lo storico dell'arte Tomaso Montanari -. Adesso il sindaco si straccia le vesti, ma invece di proporre la copertura dell'Arena o il museo della tomba di Giulietta, perché non pensa alla sicurezza vera?». Vittorio Sgarbi parla di un «disastro per l'arte italiana», una vera «mutilazione», tanto da sembrare «un atto dimostrativo jihadista».

«Quadro simili sono invendibili e questo lascia supporre che si tratti o di un furto messo a segno per chiedere un riscatto».

Commenti