
Il ribaltone nell'assemblea di Mediobanca consumatosi ieri è solo l'ultimo atto di un battaglia che dura da diversi anni tra il management di Piazzetta Cuccia e i grandi soci Delfin (19,8%) e Caltagirone (9,9%). La genesi, in ogni caso, risale ai contrasti per come veniva governata Generali, la principale compagnia assicurativa italiana sulla quale Mediobanca esercita un'influenza dominante con una storica quota del 13,2% da sempre foriera di bei dividendi e decisiva per la nomina dei vertici.
I contrasti erano già vivaci fin dai tempi in cui Leonardo Del Vecchio, patron di EssilorLuxottica, era ancora vivo. Quest'ultimo, al pari dell'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, avrebbe voluto una Generali più ambiziosa ed espansionista, una visione alla quale si contrapponeva il fare più conservativo di Mediobanca che invece era restia a investire per patrimonializzare le Generali da cui tutt'ora ricava circa il 40% dei suoi utili con i dividendi generosamente elargiti da Trieste. Nella primavera del 2021, il ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, e l'azionista di peso Caltagirone (che in Generali oggi vanta una quota del 6,9%) avrebbero raggiunto un accordo per sostituire il ceo Philippe Donnet con Matteo Del Fante, l'amministratore delegato di Poste Italiane. La cosa poi non si concretizzò per un cambio di direzione di Nagel e ciò provocò la rottura definitiva dei rapporti tra azionista e manager. Nella primavera 2022, nell'assemblea di Generali per rinnovare i vertici dell'istituto si consumò una feroce battaglia con Mediobanca a sostenere la conferma di Donnet e il fronte composto da Delfin (la cassaforte della famiglia Del Vecchio oggi guidata dal super manager Francesco Milleri), Caltagirone e la famiglia Benetton a sostenere il candidato alternativo Luciano Cirinà. All'epoca prevalse il partito Mediobanca, con la lista del cda che raccolse il 55,9% dei voti portando alla conferma per un altro mandato di Donnet.
La vittoria venne celebrata come il trionfo del mercato contro i grandi azionisti privati, mentre sul fronte opposto si denunciava come il colpo di mano di Mediobanca fosse stato eseguito in spregio alla volontà dei grandi azionisti della compagnia. Archiviata la sconfitta su Generali, il fronte si spostò su Mediobanca. Del resto, chi controlla Piazzetta Cuccia di fatto controlla anche le Generali. Nell'assemblea dei soci dell'ottobre del 2023, che confermò ai vertici Nagel per un altro mandato, cominciarono a intravedersi le prime crepe nel consenso. La lista del cda prevalse con margine, ma quella presentata da Delfin ottenne oltre il 32% delle preferenze nominando due consiglieri nel board dell'istituto. In pochi, probabilmente Nagel in primis, avrebbero scommesso che quelle proporzioni si sarebbero ribaltate nel giro di un paio d'anni.
Nel frattempo il ministero dell'Economia aveva partecipato nel novembre 2022 all'aumento di capitale da 2,5 miliardi di Mps per finanziarie il rilancio dell'istituto. Il ceo Luigi Lovaglio sfruttò molto bene quelle risorse, riportando l'istituto a macinare profitti e rilanciando corposamente anche il titolo in Borsa. Nei progetti del governo, Mps doveva essere il perno di un terzo polo bancario alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit. Il Mef, che aveva impegni con Bruxelles per scendere sotto al 20% di Mps, vendette in due differenti tranche parte delle suo quote, portandosi all'attuale 11,7 per cento. Nella seconda vendita di quote, finita poi sotto indagine della procura di Milano per una presunta vendita concertata, entrarono nel capitale della banca Delfin (inizialmente con il 3,5% e oggi con il 9,8%), Caltagirone (con il 3,5% e oggi al 9,9%) e Banco Bpm (con il 5%). Mentre Anima arrotondò con un altro 3% la sua iniziale quota dell'1 per cento. Mps, con il benestare del Mef, è dunque diventato il veicolo per lanciare l'assalto a Mediobanca, obiettivo da centrare per costruire il famoso terzo polo del credito e del risparmio e anche per mettere in sicurezza le Generali, nel frattempo al lavoro per un discusso accordo nel risparmio gestito con i francesi di Natixis.
Arriva dunque nel gennaio 2025 l'Offerta pubblica di scambio di Mps su Mediobanca. Il ceo di Piazzetta Cuccia, dopo aver presentato una sua lista facendo riconfermare Donnet ai vertici di Generali in aprile, ha lanciato a sua volta una contestata Ops su Banca Generali, controllata dalla capogruppo assicurativa. L'idea era di scambiare il 13,2% detenuto in Generali, con il 50,17% posseduto da quest'ultima in Banca Generali.
Di fatto il tentativo di recidere il legame tra Mediobanca e il Leone, che riteneva essere il vero oggetto del desiderio di Delfin, Caltagirone e governo. L'assemblea dei soci gli ha dato torto e il prossimo 8 settembre, data di scadenza dell'offerta, Mps potrebbe entrare in Piazzetta Cuccia dal portone principale.