Non voleva essere un rapimento. E non lo è stato. L'indomani lo avrebbe riportato Dalla mamma. «Solo un giorno di vacanza, finalmente dopo due anni la prima volta che io mio figlio abbiamo potuto dormire insieme. Ci siamo ripresi dei momenti per noi che ci hanno ingiustamente negato per tanto, troppo tempo». Alessandro Del Grande, l'ingegnere livornese di 39 anni finito in prima pagina per aver «sequestrato» il figlioletto di 5 anni, non ha l'aspetto del pazzo. Del paranoico o del nevrotico. All'indomani della «resa» parla tranquillamente. L'esasperazione «contro questo nostro sistema giudiziario che in materia di affidamenti dei figli non funziona» - come aveva scritto, chiedendo aiuto, in un pacco di volantini distribuiti qualche giorno fa -, la ribellione sfociata in un «gesto dimostrativo», viene tradita solo dallo sguardo. Ma è controllata, misurata come l'eloquio davanti ai microfoni di «Studio Aperto». La sua fuga si è conclusa venerdì pomeriggio in un parco acquatico di Cecina. Una amica dell'ex moglie lo aveva visto e ha avvisato il 113. Quando gli agenti sono arrivati all'Acquavillage, hanno scorto padre e figlio sulla scaletta «dell'Intrigo», uno scivolo alto 13 metri. Non c'è voluto molto per capire che quell'uomo non stava scappando. Che non stava andando da nessuna parte. E non avrebbe fatto male a nessuno. Stava solo facendo divertire il suo bambino. Così i poliziotti hanno atteso che i due finissero il loro gioco, poi si sono avvicinati discretamente all'ingegnere. Uno sguardo e poche parole. Non servivano, del resto. Lui non ha opposto resistenza. «Ha assecondato il nostro lavoro - racconta il dirigente della Mobile, Giuseppe Testaì -,dimostrando di avere già preparato il bambino. Gli aveva detto che la loro vacanza sarebbe finita presto».
La madre ha potuto riabbracciarlo poco dopo in Questura. Ha preferito tacere lei, affidando un messaggio al suo legale, Paola Bernardo: «La signora è ovviamente molto felice e ciò che conta è che il piccolo sia sereno e di nuovo insieme alla madre. D'ora in poi lavoreremo affinché possa crescere in assoluta serenità, anche se necessariamente quanto accaduto dovrà spingere a riflettere su quali potranno essere le future modalità di gestione dei rapporti tra padre e figlio». Linea dura, dunque, di fronte a un uomo la cui supplica è quella di potere fare il papà. Strano Paese il nostro, contraddittorio e biforcuto come le sue leggi. Capace anche di negare diritti elementari spesso in nome di una «giustizia» che scorda ragioni del cuore e della logica. Talvolta anche della verità. Ci si dice addio e chissà perché, in materia di figli, il diritto sembra sempre e solo appartenere alle signore. Alessandro Del Grande- stando alle relazioni dei servizi sociali- presenterebbe il quadro psicologico di una persona molto tormentata e con rapporti conflittuali ed esacerbati con il resto della famiglia. Possibile. Come altrettanto possibile è che l'essere costretto a incontrare il proprio figlio per poche ore due volte la settimana, chiuso in casa e alla presenza di un assistente sociale, ne giustifichi il tormento. E poi: basta questo per limitare tanto drasticamente il diritto-dovere alla genitorialità?
«Sono bastate le false accuse di mia moglie, numerose e gravi seppur tutte basate esclusivamente su dichiarazione di parte – scriveva in una delle sue numerose denunce Del Grande – senza evidenze, senza riscontri,
riguardo mie presunte condotte maltrattanti, pericolosità, squilibrio mentale e quant'altro perché si mettesse in moto la macchina delle istituzioni». Quella che gli ha tolto il figlioletto. E che forse non è così infallibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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