Definirli separati in casa è un eufemismo. Perché mai come in queste ore la tensione tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha superato la soglia di guardia. Il problema non è tanto politico, quanto umano e personale. Nelle ultime settimane, infatti, la fiducia reciproca che cinque mesi fa gli ha permesso di cementare un'alleanza di governo su cui scommettevano in pochi, è andata lentamente sfumando. Al punto che in queste ore i messaggi che si rimpallano i vertici di M5s e Lega sconfinano nell'intimidazione.
Sulla prescrizione, per esempio. I Cinque stelle hanno infatti aperto il fronte giustizia non certo per caso. E lo hanno fatto con il preciso obiettivo di recuperare terreno su una Lega che continua a salire nei sondaggi e che nella percezione del Paese sta portando a casa buona parte degli impegni presi con l'elettorato. A differenza, invece, del M5s, costretto ad arretrare su tutti i fronti, dalla Tav alla Tap passando per il condono. Di qui la decisione di bilanciare l'ennesima vittoria di Salvini sul dl sicurezza (approvato ieri in Senato) inserendo a sorpresa la riforma della prescrizione con un emendamento al ddl anticorruzione (in discussione alla Camera). Una modifica così imponente da portare di fatto ad una quasi cancellazione della prescrizione.
Ed è su questo punto che sta andando in scena da 48 ore un muro contro muro che ha di fatto paralizzato i lavori della Camera, coinvolgendo nella querelle regolamentare anche il presidente Roberto Fico. Ma il braccio di ferro è soprattutto politico. L'obiettivo di Di Maio, infatti, è - questo ha confidato a due deputati grillini - «uscire dall'angolo». Anche perché, è l'allarme lanciato a Milano dalla Casaleggio Associati, i segnali di insofferenza dell'elettorato grillino si vanno moltiplicando. Dopo la piazza spontanea di Roma contro il sindaco Virginia Raggi, infatti, sabato a Torino è prevista una manifestazione sì-Tav che punterà il dito contro Chiara Appendino. E il timore è che la mobilitazione possa essere molto più partecipata del previsto, superando le 15mila presenze.
Di qui la decisione di forzare la mano. Anche nei toni. «Vediamo se la Lega sta con l'Italia o con Arcore», tuona Alessandro Di Battista, dimenticando per un attimo che la Lega in un posto sicuramente sta: al governo con il M5s. Ma lo scontro sulla giustizia è troppo ghiotto per non riaprire il vecchio filone dell'antiberlusconismo militante e provare a ricompattare un elettorato che pare spaesato. Una sorta di ritorno alle origini, a quel «o-ne-stà» «o-ne-stà» che ha fatto la fortuna del Movimento. Ecco perché la battaglia sulla prescrizione. Convinta al punto che Di Maio ha fatto sapere di essere pronto ad una vera e propria «campagna di comunicazione contro i condannati della Lega». Insomma, se Salvini non si piegherà alla prescrizione come l'ha pensata il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, i Cinque stelle sono pronti a dire che lo fa solo per difendere i suoi. Nell'ordine: Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture, sotto processo per le cosiddette «spese pazze» della regione Liguria (in primo grado il pm ha chiesto 3 anni e 4 mesi); e Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, condannato in appello a 11 mesi per le «spese pazze» della regione Piemonte (nello stesso processo è stato condannato ad 1 anno e 5 mesi il deputato Paolo Tirmani).
La macchina della comunicazione pentastellata punterà in prima battuta su di loro (che hanno incarichi di peso) per poi coinvolgere anche i cosidetti peones. A meno che questa mattina - come è probabile - il vertice a tra tra Giuseppe Conte, Di Maio e Salvini non sancisca una tregua.
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