D a affaire a scandalo di Stato in meno di una settimana. I fatti finora accertati hanno generato un costante scaricabarile sull'Eliseo. Tutto riconduce a Emmanuel Macron, che tace nonostante le indagini aperte: una giudiziaria, una interna alla polizia e le due parlamentari. Dalla commissione d'inchiesta dell'Assemblea nazionale emergono le prime responsabilità, ma le risposte del direttore di gabinetto di Macron sono evasive. Patrick Strzoda si trincera spesso dietro la formula del «non sono autorizzato a rispondere». Tanto che il gollista Eric Ciotti sottolinea: «Il mandato di non trasparenza che vi ha dato il presidente è inadatto, inopportuno e ci priva della possibilità di farvi alcune domande, privando i francesi di accertare la verità».
Il governo ne fa le spese in aula. Con il premier Edouard Philippe costretto a ribattere alle interrogazioni nel question time: «Non c'è nessun affare di Stato, è stata una deriva individuale, l'Assemblea nazionale non è un tribunale, non posso entrare nel merito della presidenza e del suo funzionamento». La destra gollista annuncia una mozione di sfiducia, appoggiata dalla Francia ribelle di Jean-Luc Mélenchon. Mentre i sondaggi danno Macron al minimo storico: la sfiducia sale al 60%, solo il 32% dei francesi lo sostiene, quattro punti in meno di un mese fa. L'80% si dice invece sotto choc per quanto sta accadendo.
Crescono infatti le ombre sulla figura di Alexandre Benalla, sui rapporti con il presidente della Repubblica e i costanti privilegi che gli hanno permesso di vivere gli incarichi al di sopra del protocollo, se non delle regole e della legge. Il confine sembra labile e lo stabilirà la magistratura, ma intanto l'uomo che l'aveva assunto all'Eliseo dopo la campagna elettorale 2017, colui che ha deciso «in totale autonomia» la «punizione» seguita all'aggressione del 1° maggio due settimane di stop nonostante i caveat di Macron qualcosa dice. È stato lui, Strzoda, ad autorizzare la partecipazione di Benalla alla manifestazione del 1° maggio («Non mi sono opposto»), lui ad aver indirizzato la lettera alla prefettura per fornirgli il porto d'armi («Sono favorevole») nonostante gli fosse stato negato due volte dal ministero dell'Interno e le funzioni non lo richiedessero, lui ad aver scelto di non denunciare i fatti del 1° maggio al procuratore, che invece, dopo il video pubblicato da Le Monde (in cui si vede l'aggressione di Benalla a due manifestanti), ha incriminato e messo agli arresti l'ex bodyguard che si era finto poliziotto e a cui qualcuno ha dato l'equipaggiamento di polizia. «Al mio livello non avevo gli elementi e l'autorità per far ricorso all'articolo 40», cioè denunciare i fatti al procuratore, si difende il direttore del gabinetto Macron. Peccato che, sia il ministro dell'Interno sia il prefetto abbiano ricordato che Benalla era sotto la sua gerarchia. Sopra c'è solo Macron.
«Era a 10mila chilometri quando ho deciso che la sospensione per Benalla fosse sufficiente, me ne assumo la responsabilità», dice Strzoda. Ma come gli fa notare un deputato: quando il presidente è rientrato e gliel'ha detto, se non le ha chiesto di penalizzarlo ulteriormente, né di denunciarlo, significa che era d'accordo con la sua decisione. Le ombre sulla cerchia di fedelissimi portati da Macron all'Eliseo spuntano come ninja, nomi e contratti che non risultano nella Gazzetta ufficiale, ha ammesso Strzoda. Esiste un progetto di «riorganizzazione dei servizi della sicurezza presidenziale, ma non posso entrare nel dettaglio.
Ci sono più gruppi di lavoro che all'interno dell'Eliseo si confrontano su questo tema e certe volte Benalla era presente alle riunioni», l'ultima delle rivelazioni. Domani sarà il turno del segretario generale dell'Eliseo. Ma l'Assemblée vuole Macron, sul banco della commissione. E se continua a tacere, nulla impedisce di convocarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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