Il maestro dell'archeologia aveva scoperto la politica

Sebastiano Tusa, assessore in Sicilia, era diretto in Kenya per un progetto dell'Unesco. Era allievo di Folco Quilici

Il maestro dell'archeologia aveva scoperto la politica

È morto nell'«adempimento del dovere»: era diretto infatti in Kenya per un progetto dell'Unesco. Il professor Sebastiano Tusa, 66 anni, era una persona brillante, di quelle che potresti ascoltare per ore senza annoiarti: una specie di giovane Piero Angela dell'archeologia. Approccio divulgativo e grande preparazione, leggere i suoi articoli su Archeo era un piacere anche per i non addetti ai lavori. Del resto era un figlio d'arte: suo padre, Vincenzo, era stato un famoso paleontologo. Da lui aveva mutuato la passione per l'arte, la storia, gli scavi e tutto ciò che lega il nostro presente al nostro futuro. L'altra sua grande passione era la politica, tra le cui miserie non si trovava certo a proprio disagio; lui, generoso e con grandi progetti, costretto spesso a confrontarsi con le piccinerie degli «ominicchi» della sua amata Palermo.

Archeologo e Sovrintendente regionale del mare (una struttura da lui ideata per la valorizzazione del patrimonio culturale delle acque siciliane), Tusa era stato nominato assessore regionale nell'aprile del 2018 dal governatore Nello Musumeci, prendendo il posto di Vittorio Sgarbi. Il quale ieri gli ha riservato parole di sincero apprezzamento: «Resta il suo pensiero, l'intelligenza, la disponibilità ad ascoltare, la gentilezza, e tanti studi, tante ricerche sospese, tanti sospiri di conoscenza. Sebastiano si era fatto politico con naturalezza, continuando a vedere il mondo senza calcoli e strategia, per amore della bellezza, per la certezza che il mondo antico in Sicilia era ancora vivo. E come vive la storia con noi, vive anche lui oltre la sua apparente fine».

Nel 2012 era stato indicato come possibile candidato sindaco di Palermo di Futuro e Libertà, alla fine era stato candidato solo al Consiglio comunale senza essere eletto: difficile sfondare nel Palazzo per un uomo come lui, onesto, trasparente ed estraneo alla logica dei compromessi e degli opportunismi. Lontano anni luce dai giochi di potere, si nutriva di cultura e studi; importanti scavi archeologici in Italia, Iran, Iraq e Pakistan erano stati diretti da lui e nel 2008 aveva collaborato a un documentario di Folco Quilici, suo grande amico, sulla preistoria mediterranea a Pantelleria.

Abbandonata la ricerca sul campo, si occupò di amministrazione dei beni culturali nei ruoli della Regione siciliana, guidando tra l'altro la Soprintendenza di Trapani . Nel 2005 ha guidato gli scavi a Mozia, riportando alla luce reperti di enorme valore. Fra le sue scoperte ce n'è una particolarmente originali: una bottiglia di vino risalente a duemila anni fa, ritrovata nel relitto di una nave nelle acque di Favignana e che conteneva ancora «intatto» il suo prezioso contenuto. Era, si disse, «il vino più antico del mondo arrivato fino a noi».

Il professor Tusa, col suo stile brillante e un po' guascone, rivelò nel corso dell'edizione 2000 del Vinitaly a Verona che «quel vino proveniva dalla stanza privata del comandante di una delle navi più antiche di cui si abbia notizia».

La notizia non ha mai trovato conferma, ma le parole di Tusa si meritarono comunque una standing ovation.

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