Cultura e Spettacoli

Il maestro gentile che raccontò colori e anni oscuri dell'Italia più vera

Il giornalista e scrittore simbolo della Rai firmò l'inchiesta tv "La notte della Repubblica"

Il maestro gentile che raccontò colori e anni oscuri dell'Italia più vera

Oggi, nella sua camera ardente del Senato, simbolicamente sfileranno tutti i protagonisti dei nostri ultimi sessant'anni di storia. Sergio Zavoli se ne è andato ieri, spegnendosi a quasi 97 anni, dopo aver camminato passo dopo passo nei grandi eventi e nei piccoli eroi dell'Italia prima neorealista, poi solo reale e infine anche surreale che ha raccontato nei suoi programmi e nelle sue inchieste.

Era nato a Ravenna, non tanto distante dalla tomba di Dante Alighieri, e aveva esordito nel 1943 sul periodico dei Gruppi universitari fascisti riminesi Testa di Ponte, foglio volatile visto che durò pochi mesi fino all'8 settembre. Gli servì, quell'esperienza a decollare verso RadioRai dove entrò nel 1947 da professionista, dopo regolare concorso (oggi quasi impossibile) mentre l'amico Federico Fellini, vicino al quale ora sarà sepolto, era ancora in cerca di un centro di gravità. Zavoli era molto più focalizzato e meno sfocato del giovane regista vitellone quindi perfetto per un'azienda come la Rai che stava rinascendo dopo essere stata Eiar e aver accompagnato il fascismo per vent'anni.

Piano piano, Zavoli diventa un pilastro della radio e inizia a costruire il proprio stile asciutto e documentato, rispettoso ma implacabile. Basta andare su Rai Teche a riascoltare il documentario radiofonico Clausura del 1957, poi venduto e premiato in mezzo mondo. Per primo, era entrato nel monastero di clausura delle carmelitane scalze di via Siepelunga a Bologna passando il microfono attraverso le grate per far capire al mondo come vivevano e cosa facevano le monache che si erano esiliate dal mondo. È stato il primo tassello di un mosaico di inchieste e di reportage che lo ha consacrato tra i grandi padri del giornalismo moderno. Nel 1962, dopo aver ideato con Moretti e Bortoluzzi Tutto il calcio minuto per minuto, si inventò il Processo alla Tappa, una sorta di «spogliatoio» del Giro d'Italia. A caldissimo, appena finita la tappa sopra un palco improvvisato di fianco al traguardo. Sergio Zavoli avvicinava i protagonisti della corsa che allora innervava non soltanto la provincia italiana ma anche i sogni degli italiani grazie a protagonisti delle due ruote cresciuti con le lezioni di Bartali e Coppi (si può ancora vedere su RaiPlay). Il bello non era soltanto il confronto impietoso tra la cultura dell'intervistatore e l'analfabetismo genuino degli intervistati, ma anche la voglia di incontrare non soltanto i campioni Bitossi o Motta o Gimondi ma anche i gregari, quelli che nessuno conosceva eppure erano il sistema nervoso della gara. «Il mondo non è fatto di primi, vincitori e vincenti, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue», diceva allora e questa massima è diventata il filo conduttore di una carriera ineguagliabile. Era un vero «uomo Rai», nel senso più nobile e compiuto e ora dimenticato del termine, e difatti arrivò fino al vertice, alla presidenza dal 1980 al 1986, lui vicino ai socialisti ma a volto scoperto, senza imbarazzi, con dignità altissima. Finita la presidenza, torna nel suo campo preferito, quello dell'inchiesta, del reportage, dell'intervista difficile da fare, da combinare, da pubblicare. Il capolavoro è forse La notte della Repubblica, andata in onda su Raidue dal 12 dicembre 1989 (ventesimo anniversario della strage di Piazza Fontana) fino al maggio del 1990. Diciotto puntate, 45 ore complessive, centinaia di interviste e immagini inedite. Un lavoro gigantesco che è tuttora un caposaldo nella ricostruzione degli anni di piombo, dal Sessantotto al caso Moro alla Strage di Bologna fino al declino e alla sconfitta del terrorismo. Zavoli era riconoscibile già dalla voce, prima ancora che dallo stile: pacata ma ferma, educata ma determinata. Una voce d'altri tempi.

Quando completa il reportage Nostra padrona televisione nel 1994 è evidente che sia finita un'altra fase della sua carriera. Si avvicina decisamente alla politica, destinazione Pds, ma senza quella faziosità di tanti altri suoi colleghi, giornalisti o politici che fossero. D'altronde aveva vissuto da protagonista l'«affiancamento» della tv privata a quella pubblica, si era confrontato con l'imprenditore Berlusconi, aveva vissuto quella fase delicatissima e non ancora completata. Era insomma un testimone del tempo, non un ultras. Da allora Sergio Zavoli vive la Rai attraverso la politica, diventando senatore Ds nel 2001 e facendo anche il ruolo che probabilmente non avrebbe mai voluto fare ossia il presidente della Commissione Vigilanza per quattro anni dal 2009. Da sempre contrario all'esagerata ingerenza della politica nella Tv, era nella posizione di mediare o di frenare tutte le pulsioni politiche sui palinsesti delle tre reti Rai. Una sorta di supplizio di Tantalo per un cittadino onorario di Rimini che con merito era arrivato all'ingresso di Viale Mazzini e, sempre con merito, era salito fino al settimo piano. Dopo esser diventato il più anziano senatore eletto della diciassettesima legislatura (a 95 anni!), Sergio Zavoli inevitabilmente esce di scena, probabilmente allibito dalla Rai che stava osservando e che la politica stava ulteriormente imbarbarendo. «Il più grande giornalista radiotelevisivo di sempre» ha detto ieri Bruno Vespa, riassumendo un pensiero comune. La televisione di Zavoli era implacabile ma intratteneva. I contenuti erano forti ma i toni no. Lo stile era garanzia di qualità.

Nella tv che ha visto negli ultimi tempi, Zavoli avrà faticato a trovare un erede o, quantomeno, un allievo volenteroso.

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