La mafia che uccide la Puglia. "Impuniti otto delitti su dieci"

L'allarme del procuratore nazionale antimafia Roberti Minniti: subito 192 agenti e militari in più sul territorio

La mafia che uccide la Puglia. "Impuniti otto delitti su dieci"

Foggia - «Le faide tra i clan mafiosi foggiani risalgono a oltre trent'anni fa con circa 300 omicidi, l'80 per cento dei quali rimasti impuniti»: con queste parole, senza usare mezzi termini, il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, lancia l'allarme sulla polveriera Puglia. Il magistrato parla ai microfoni di Radio 1 dopo la strage con quattro morti che si è consumata a San Marco in Lamis, lungo una strada provinciale martellata dal sole e sfregiata dalle pallottole. Nell'agguato hanno perso la vita il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito, vero obiettivo dei killer, e il cognato Matteo De Palma che viaggiava con lui. Ma tra le vittime ci sono anche due contadini che si trovavano a passare per caso da quelle parti, i fratelli Aurelio e Luigi Luciani: sono stati inseguiti e uccisi, solo perché testimoni.

Roberti parla chiaro, dice che «la criminalità pugliese, e in particolare questa efferatissima forma di criminalità foggiana, è stata considerata troppo a lungo mafia di serie B». Il procuratore sottolinea la feroce determinazione delle organizzazioni radicate in un territorio che in passato costituiva un prezioso avamposto e un rifugio importante per i grandi latitanti in fuga da altre regioni mentre ormai da tempo è la roccaforte di cosche che uccidono e fanno affari. «Oggi - spiega Roberti - lo scontro si è acceso attorno al traffico di stupefacenti, in particolare di droga leggera dall'Albania». In ballo c'è un fiume di denaro, un business «colossale che scatenagli appetiti dei clan e che investe, partendo dalla provincia di Foggia, tutta la dorsale adriatica fino all'Europa». Insomma, quella che un tempo era la cosiddetta «mafia dei montanari» costituita da gruppi di allevatori che non esitavano a eseguire sanguinosi regolamenti di conti per il bestiame e tramandavano l'odio per generazioni alimentando faide trentennali, adesso è diventata un'organizzazione dallo scenario frastagliato e dalle strategie più complesse, clan che hanno mantenuto la ferocia di sempre ma gestiscono e riciclano carrellate di denaro. Dalla Puglia si leva un appello per un intervento deciso dello Stato e ieri a Foggia è arrivato il ministro dell'Interno Marco Minniti, che ha presieduto un comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica insieme al governatore Michele Emiliano e al capo della polizia Franco Gabrielli. Il ministro ne è uscito un borsone carico di promesse: «Da oggi 192 agenti in più «Cacciatori di Calabria compresi); maggiore collaborazione con sindaci e territorio; sinergie con la Regione. «Perchè questa ormai è una questione d'importanza nazionale», ha puntualizzato Minniti.

Il capo della polizia già a marzo, dopo i colpi di pistola sparati contro alcune Volanti a San Severo, aveva definito «molto critico» il contesto Foggiano. Dove però - secondo quanto riferito in una relazione ufficiale presentata il 10 gennaio alla commissione parlamentare per la sicurezza - l'organico effettivo degli agenti è fermo al 1989. I carabinieri hanno ormai ricostruito quanto avvenuto nei pressi della stazione ferroviaria di San Marco in Lamis. I killer erano almeno tre, forse quattro: hanno affiancato l'auto su cui viaggiava Romito e hanno aperto il fuoco con kalashnikov e fucile calibro 12, uccidendo il boss e il cognato; poi i sicari hanno notato i due contadini a bordo del Fiorino, li hanno costretti a fermarsi e hanno sparato ancora.

L'auto del commando, una Ford Kuga, è stata trovata poco distante, completamente distrutta dalle fiamme. E i riflettori sono puntati sui contrasti tra il clan Romito e la cosca capeggiata dagli ex alleati, i Li Bergolis.

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