Magistratura

Mafie a Milano, fango sul gip. "Ha usato il copia-incolla"

L'accusa al giudice che ha demolito l'inchiesta Dda divide le toghe. Caso Apostolico, il Csm sta con lei

Mafie a Milano, fango sul gip. "Ha usato il copia-incolla"

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Fatto e Repubblica usano il metodo Apostolico contro il gip che ha incrinato l'inchiesta Hydra della Dda di Milano sul presunto patto 'ndrangheta-mafia-camorra. Il giudice Tommaso Perna è stato crocefisso con un'accusa infamante: «Ha copiato e incollato buona parte di un testo di un avvocato, parte avversa al pm nel processo». Come per la giudice della sentenza «svuota Cpr» (su cui il Csm ha aperto una pratica a tutela), gli epigoni delle Procure attaccano la forma, non la sostanza. Repubblica alza il tiro e chiama in causa il ricorso al Riesame vergato dal pm della Dda Alessandra Cerreti: Nell'istanza di 1.121 pagine si chiede la custodia cautelare di 79 indagati oggi a piede libero, si denuncia esplicitamente «il metodo copia e incolla» che avrebbe «parcellizzato e banalizzato incredibilmente gli innumerevoli elementi investigativi». In difesa del povero gip - in attesa che l'Anm decida se stare con lui o con la Dda di Alessandra Dolci - ha parlato il presidente del Tribunale Fabio Roia: «Altro che patologico, il controllo del gip è autonomo e rispetta il principio del giudice naturale», quasi a sgombrare il campo dal sospetto di un esito diverso davanti a un altro gip, come malignava qualcuno.

Dentro il Palazzo di Giustizia il clima è pesantissimo dopo il caso dell'oligarca russo Artem Uss, sfuggito alla Procura generale che secondo il Guardasigilli Carlo Nordio ne ha sottovalutato la pericolosità, o il caso di Cuno Tarfusser, sotto procedimento disciplinare per aver chiesto in autonomia la revisione processuale della Strage di Erba. Per tacere di altri scivoloni della stessa Dda, come l'assoluzione del genero del boss di 'ndrangheta Luigi Mancuso - che gestiva un bar davanti al Tribunale - dalle accuse di mafia. C'è chi sottolinea come questa decisione di Perna dimostri l'inutilità della separazione delle carriere. «Anzi, andrebbe fatta per legge quella tra pm e giornalisti», sorride un giudice, ricordando la massima dell'allora Guardasigilli Angelino Alfano ripresa da Luca Palamara nel Sistema. Ma c'è anche chi ricorda come i gip copia-incolla non siano una novità assoluta. Anzi. Nel 2014 fece scalpore il caso della sentenza della maxi inchiesta sulla 'ndrangheta Infinito in abbreviato, pronunciata allora dal gup Roberto Arnaldi, che depositò un testo monco. La Cassazione sorvolò sulla pacifica nullità del verdetto, facendo infuriare buona parte dei legali dei 92 mafiosi condannati, gente del calibro di Raffaelle Della Valle: triste vedere la Cassazione che fa spallucce davanti a «una sentenza nulla perché scritta con il copia-incolla, depositata a rate in violazione delle norme e salvata per ragion di Stato contro presunti mafiosi».

«Quando un gip usa il copia-incolla per avallare la tesi della Procura va tutto bene, quando lo fa per demolire la Dda non va più bene?», si chiede un avvocato che nel 2010 si era occupato di Crimine-Infinito, forse l'ultima maxi inchiesta sulla mafia calabrese a Milano. Al netto delle tifoserie e dei giornalisti «partigiani», cosa avrebbe dovuto fare Perna? La cornice giuridica che individua l'esistenza del 416bis è molto precisa e non si confà alla possibile nuova forma camaleontica delle mafie che si stanno spolpando Milano. Dunque? Meglio un'ordinanza «creativa» per riscrivere l'associazione mafiosa? O serve forse l'intervento del legislatore? Di certo, l'allarme sulla possibile alleanza tra 'ndrangheta, mafia e camorra non va sottovalutato, al netto dei distinguo su cui decide il Riesame. D'altronde, che la mafia sia cambiata dal 2010 lo ha ricordato la stessa Dolci qualche mese fa («Infinito ormai è archeologia mafiosa»), della pax tra mafie ipotizzata dal capo della Procura Marcello Viola invece si discute da mesi. Certo, manca la borghesia mafiosa che avrebbe reso queste mafie 2.0 più orientate alla new economy che alle pallottole (da qui la scomparsa dell'elemento intimidatorio). Per la Cerreti «considerare le mafie solo se violente vuol dire retrocedere di 30 anni nell'evoluzione giudiziaria e investigativa», ma è anche vero che tra le carte non si intravedono gli elementi rituali necessari alla purezza del lignaggio mafioso, perché la legittimazione del brand da Sud è fondamentale, soprattutto per i parvenu.

E intanto i veri boss se la ridono.

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