Politica

Di Maio copia Trump, ma alla rovescia

Di Maio copia Trump, ma alla rovescia

È buffo che Luigi Di Maio, rivolgendosi al Financial Times, cerchi di presentare la manovra del governo giallo-verde trovando somiglianze con quanto sta facendo Donald Trump. È vero che l'America cresce a ritmi sostenuti e che le politiche messe in cantiere a Washington uniscono tagli delle tasse e aumento del deficit. La distanza tra quanto si sta facendo a Roma, però, è davvero enorme. Innanzi tutto, ed è questo un punto cruciale, di riduzione delle imposte da noi neppure si parla. D'altra parte la fragilità della nostra economia è tale che per abbassare la pressione fiscale sarebbe assolutamente necessaria una riduzione delle uscite: proprio l'opposto dell'assistenzialismo tanto in voga. Negli Usa, insomma, la musica è assai diversa. Come non si stanca di sottolineare uno dei commentatori più critici dell'attuale amministrazione, Jeffrey Sachs, il nuovo presidente ha ridotto con decisione le imposte e ha pure eliminato molti interventi sociali. Il Tax Cuts and Jobs Act introduce una significativa diminuzione delle tasse e, oltre a ciò, una legge a lungo quasi dimenticata il Congressional Review Act è stata usata per sfoltire varie regolamentazioni introdotte durante gli anni di Obama. Non sorprende, allora, che oltre Atlantico l'economia stia ripartendo. La riduzione dal 35 al 21% in maniera permanente dell'aliquota sulle imprese ha ridato slancio alle aziende Usa e la disoccupazione è ai minimi storici dal 2001. Trump non è certo un liberista. Ha consolidato quel protezionismo che da molti anni l'America aveva intrapreso e, sul fronte del bilancio pubblico, non si è preoccupato di accompagnare la riduzione delle entrate con un contenimento delle spese. E però qualche novità si è vista, ad esempio in materia ambientale. Se non è un autentico liberale, non si è neppure circondato di post e neo-comunisti come Roberto Fico e Alessandro Di Battista. Alla guida del National Economic Council, che riunisce i consiglieri economici, ha infatti messo Larry Kudlow, con un passato nell'amministrazione Reagan. D'altra parte, negli Usa nessuno pensa a qualcosa come il reddito di cittadinanza del governo leghista-pentastellato, né s'intende aumentare il raggio delle imprese di Stato: come da noi sta avvenendo, ad esempio, per salvare Alitalia con i soldi dei contribuenti. Nessuno a Washington vuole finanziare l'assistenzialismo con l'aumento delle imposte sulle sigarette e sui giochi, né si ritiene che le aree meno dinamiche possano crescere con programmi di finanziamento (anche a fondo perduto) del genere «Resto al Sud».

Adesso Di Maio «vuò fa' l'americano», ma «nun ce sta niente à fa'»: il bluff farebbe morire dal ridere se di mezzo non ci fossimo pure noi.

Commenti