Di Maio corre a Torino per calmare la Appendino

Sostegno al sindaco ancora furente dopo il caos sul Salone dell'Auto. Ma ora rischia il suo vice

Di Maio corre a Torino per calmare la Appendino

V isto da una prospettiva più ampia, il caos di Torino è la sintesi locale dello scontro interno che destabilizza il Movimento Cinquestelle da quando è arrivato al governo. Duri e puri contro «governisti». Ortodossia contro pragmatismo. Passato contro presente. Anzi, futuro. Come ha detto ieri Luigi Di Maio nella sua difesa del sindaco Chiara Appendino, forse immedesimandosi nella situazione di sentirsi «ostaggio» delle frange più estreme del Movimento. «Chiara già nel 2016 rappresentava ai miei occhi il futuro del Movimento - ha spiegato il leader politioc dei pentastellati - oggi lo è più che mai. Ha sempre avuto una visione di governo. Ha sempre mirato a governare non per vendicarsi, per attaccare qualcuno o per bloccare qualcosa».

L'attacco di Di Maio è rivolto ai consiglieri di maggioranza (cinque) che hanno contribuito a sabotare il Salone dell'Auto di Torino al Parco del Valentino attraverso un documento in cui si chiedeva di vietare l'uso dello spazio verde per la manifestazione fieristica. Mozione appoggiata da quasi tutti i consiglieri Cinque Stelle e dal vicesindaco Guido Montanari, accusato giovedì da Appendino di aver pronunciato «dichiarazioni inqualificabili».

Proprio Montanari, architetto come Paolo Berdini, ex assessore della Giunta Raggi che con alcune sue dichiarazioni provocò un terremoto nella Roma grillina, ha gettato acqua sul fuoco nella serata di mercoledì: «Ho sempre ritenuto che il Salone dell'Auto sia una ricchezza della città e che si possa fare al Parco del Valentino con una mediazione tra esigenze degli organizzatori e fruizione del Parco». Per poi concludere così il dietrofront: «Capisco lo sconcerto e il disappunto della sindaca e mi scuso per aver dato pretesto a polemiche strumentali». Ma, mentre Di Maio incontrava alcuni consiglieri, la sindaca e gli attivisti, restava ancora in piedi l'ipotesi di una «caduta della testa» del vicesindaco. Reo di aver pronunciato la seguente frase che ha fatto andare su tutte le furie la prima cittadina: «Fosse stato per me, il Salone non ci sarebbe mai stato. All'ultima edizione ho sperato che arrivasse la grandine e se lo portasse via. Sono stato io a mandare i vigili per multare gli organizzatori».

Secondo fonti interne allo stesso Movimento fondato da Beppe Grillo, in Sala Rossa, sede del consiglio comunale torinese, il punto di caduta della trattativa per mantenere in sella Appendino sarebbero proprio le dimissioni di Montanari. Oppure potrebbe bastare anche un downgrading della vicepresidente del Consiglio Comunale, la grillina Viviana Ferrero, tra le firmatarie del documento contro il Salone dell'auto, che però rimarrebbe in maggioranza come semplice consigliera. Fatto è che alle dimissioni della sindaca Appendino non ci crede quasi nessuno. «Lei e Di Maio, a differenza di quanto succede a Roma con la Raggi, sono pappa e ciccia», conferma un consigliere comunale. Un senso di «fratellanza» acuito da quella sensazione di interpretare «il futuro del Movimento».

A differenza dell'ala ortodossa, che però potrebbe mettere in difficoltà Appendino, nel caso in cui il governo giallo-verde dia il via libera, seppure con qualche modifica, al progetto della Tav. «Lì potrebbe cadere la Giunta, ma anche il governo» ripetono dal fortino del grillismo duro e puro.

Di Maio difende a spada

tratta Appendino: «Qualsiasi decisione prenderà io starò sempre dalla sua parte». E all'incontro con il capo politico si presenta qualche consigliere in più del previsto, anche tra gli «ortodossi» anti - Salone dell'auto.

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