Di Maio, Taverna e lo staff assetato di potere dietro l'addio del magistrato e dell'ex Consob

Il capo di gabinetto non è riuscita a far nulla, ostaggio dei veti di Marra e del vicesindaco Frongia

Di Maio, Taverna e lo staff assetato di potere dietro l'addio del magistrato e dell'ex Consob

Roma Che si trattasse di un'autentica impresa, la conquista del Campidoglio, i grillini l'hanno sempre saputo. Al punto da paventare un «complotto» per metterli alla prova e distruggerli, come ebbero a dire tra il serio e il faceto sia Roberta Lombardi che Paola Taverna.

Quali potessero essere le mille insidie che una città tentacolare come Roma potesse escogitare per impacchettarli e fagocitarli, probabilmente i giovani e un po' sprovveduti seguaci di Grillo neppure sospettavano. Uno dei demoni, forse figlio della stessa «genetica» grillina, è l'imponderabile bramosia di potere che qualcuno immagina dipanarsi ora in guerra e risalire su su, fino alla testa bipolare del direttorio, e dunque persino all'inevitabile scontro, finora latente, tra Di Battista e Di Maio. Uomo di quest'ultimo viene ritenuto Marcello Minenna, pezzo da novanta della giunta che, rompendo le consegne, ha dichiarato sibillino: «Ho servito lo Stato anche stavolta, come sempre». Ministro dell'Economia di un futuribile, possibile e immaginifico «governo Di Maio», Minenna non avrebbe sopportato lo sgambetto fatto da Raffaele Marra al capo di gabinetto da lui scelto, Carla Raineri. I rumors sostengono che sarebbe stato Marra, e non direttamente la Raggi, a imporre la pratica per la richiesta di un parere all'Anac. Eppure, si fosse trattato solo di un «dispetto» per gli alti emolumenti della Raineri (200mila euro), ci si sarebbe potuti fermare qui e rimodularne il contratto. Con le dimissioni, invece, s'è voluta segnalare una «discontinuità».

C'è chi dice tra gli uomini dello staff (Marra, già ex di Alemanno, Salvatore Romeo e il vicesindaco Frongia) e i «tecnici a contratto» indipendenti, quali Raineri e Minenna; oppure tra la volontà di spostare la giunta a destra, come vorrebbero Marra e Romeo (su input o meno della Raggi, le voci sono discordanti), e quella di navigare a vista occhieggiando a sinistra, come avrebbero preferito Minenna e Raineri su mandato di Grillo-Casaleggio. Ma la Raineri, dal momento del suo insediamento, comunque «non avrebbe visto palla», soppiantata dai pretoriani della Raggi (la solita banda: Frongia, Marra e Romeo). Un'altra pista porterebbe invece a chercher la femme e dunque alla faida tra le romane Taverna e Lombardi, già fatta fuori per ordine di Grillo, e forse mai arresasi a starsene lontana dal Campidoglio. Come e peggio che all'epoca di Romolo Augustolo, ultimo imperatore senza potere e scettro, la cittadella politica romana è squassata da personalismi, ripicche, invidie, crisi di crescita di un Movimento che qui voleva e doveva saggiare la tenuta.

Urgono

ravvedimenti, urge la calata dei barbari. Ma un reset della giunta, un punto a capo per decreto Grillo-Casaleggio, rischia di diventare l'ultimo editto di Odoacre. Deposto Augustolo, non ci fu mai più imperatore (né imperatrice).

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