Le manovre dem per disinnescare la bomba urne

Il Pd terrorizzato dall'ipotesi che il premier vada al Colle e si torni a votare. Gli assist di Conte

Le manovre dem per disinnescare la bomba urne

La scadenza segnata sul calendario è quella del 13 gennaio: per quel giorno Enrico Letta ha convocato la Direzione e i gruppi parlamentari del suo partito, con all'ordine del giorno, per la prima volta ufficialmente, la questione Quirinale.

Nel frattempo, le manovre per condizionare il segretario dem sono in pieno svolgimento, dentro e attorno al Pd. Con due obiettivi: evitare la candidatura Berlusconi, un tale spauracchio che Letta aveva inizialmente pensato di organizzare l'uscita dall'aula dei propri Grandi Elettori nel caso si materializzasse. Idea immediatamente bocciata dai suoi, ma che rivela il doppio timore del Nazareno: quello di non avere un «candidato di bandiera» da contrapporre al Cavaliere, nel caso scendesse in campo, e quello di possibili defezioni, a voto segreto, dalle file del centrosinistra verso Berlusconi.

Il secondo obiettivo di molti dem è quello di disinnescare la bomba Draghi: una volta entrata ufficialmente in pista, sarebbe impossibile dire ufficialmente no alla candidatura del presidente del Consiglio, dunque il rischio va prevenuto. A muovere l'ostilità delle truppe dem è un miscuglio di ragioni, in gran parte pre-politiche: la paura che, uscito lui da Palazzo Chigi, risulti impossibile costituire un altro governo con la stessa maggioranza, e si precipiti verso elezioni anticipate; l'avversione contro il «commissariamento» della brillante politica italiana con una figura forte e autorevole al Quirinale; i dissidi personali di alcuni dirigenti e ministri (ad esempio Dario Franceschini, che con il premier ha da tempo un rapporto conflittuale).

Il segretario Pd, consapevole delle necessità di tenuta del sistema, è quello che si è mostrato più possibilista verso l'ipotesi Draghi, ma questo ha fatto immediatamente lievitare il malumore dentro il partito. Alimentando il sospetto che il segretario, in combutta con Giorgia Meloni, veda di buon occhio il voto nel 2022. Così le correnti interne ostili alla candidatura Draghi organizzano la resistenza su vari fronti. Il primo è la contrarietà degli alleati: i Cinque Stelle, atterriti da una fine anticipata della legislatura, sono pronti a tutto per scongiurarne anche solo il sospetto, persino a scommettere su un candidato di centrodestra: Giuseppe Conte ha già fatto trapelare che i numeri parlamentari avvantaggiano lo schieramento avverso, e dunque sarebbe giusto offrire a Berlusconi, Salvini e Meloni la prima mano della partita. Un concetto che anche molti dem cominciano a ripetere. Per Conte il problema non è solo la tenuta dei suoi gruppi (che su un governo post-Draghi potrebbero implodere) ma anche il puntiglio personale: l'idea che Draghi, dopo avergli soffiato la poltrona, venga anche premiato con il Colle per sette anni gli toglie il sonno. Non a casa, ad attaccare il premier sono subito arrivate gli zelanti contiani di complemento di Leu: «La sua candidatura sarebbe un inedito assoluto».

Molti nel Pd sperano anche nelle capacità di manovra di Matteo Renzi, che giocando tra i due poli potrebbe far da levatrice ad una candidatura «terzista».

Mentre c'è chi, come Andrea Marcucci, invita Letta ad affrontare subito la grande incognita dell'operazione Draghi: «Non possiamo permetterci salti nel buio, va definito nei dettagli un accordi di maggioranza sulla sua eventuale successione al governo».

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