Lunedì scorso nell'abbazia di Rieti dove il Pd ha tentato di darsi un'anima il Dario Franceschini «privato» tra mille preoccupazioni una sicurezza l'ha data ai suoi: secondo lui la Corte Costituzionale non ammetterà il referendum proposto dalla Lega per trasformare il Rosatellum in una legge elettorale fortemente maggioritaria. Certo ai suoi fedelissimi lo ha detto con i toni sfumati del democristiano di lungo corso, ma la sostanza è questa. «Tranquilli ha spiegato filerà tutto liscio». Più o meno la stessa idea deve essersi fatto la testa d'uovo della Lega, Giancarlo Giorgetti, quando ha convinto Matteo Salvini a rilanciare alla vigilia della sentenza la legge elettorale degli albori della Seconda Repubblica, quel «Mattarellum» ideato dall'attuale inquilino del Quirinale. «Visto che abbiamo capito che aria tira alla Consulta è stato il suo ragionamento lanciamo il Mattarellum, così mettiamo il capo dello Stato alla prova o, come minimo, in contraddizione».
Insomma, nel Palazzo non c'è nessuno disposto a puntare un soldo bucato sulla possibilità che la Corte Costituzionale dia il via libera al referendum di Roberto Calderoli. Solo costituzionalisti come Stefano Ceccanti, o esperti del settore del Pd come Emanuele Fiano, mettono le mani avanti: «I giudici sono imperscrutabili». Ma è un atteggiamento dettato più dal rispetto per il rituale, per l'etichetta, che da altro. Un ex parlamentare con trascorsi radicali, grande esperto di referendum, addirittura azzarda il risultato finale: «Su 15 giudici al massimo saranno 5-6 a votare per l'ammissibilità».
Un pronostico che ha una sua logica perché dopo più di un quarto di secolo di capi dello Stato dello stesso segno (l'ultimo eretico è stato Francesco Cossiga) è difficile immaginare un esito diverso. Poi, ovviamente, può succedere di tutto, ma se il prof. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte, che negli anni di Napolitano ha interpretato lo spirito profondo della Consulta, sulle pagine del Corriere ha quasi preso in giro la scaltrezza di Calderoli per la sua capacità paragonata a quella del Re della Giungla con le liane di trasferire l'applicazione della norma di una legge a un'altra legge, riecheggiando la battuta in romanesco del celeberrimo film con Alberto Sordi «Un americano a Roma» («americà facce Tarzan!»), l'epilogo ai più appare scontato. «Calderoli commentava l'altro giorno Cassese con il tono di chi sa come finisce è una persona simpatica e gli vogliamo tutti bene».
Già, l'aria è proprio quella di una disputa finita. «La Consulta boccerà il referendum scommette Enrico Borghi, piddino membro del Copasir perché ha un orientamento proporzionalista. Anche il rilancio della Lega sul Mattarellum è una patacca e nessuno al Colle ci casca». «Certo che il referendum sarà bocciato prevede Elio Vito, azzurro con un passato radicale e lo sa pure Calderoli. E dato che questi durano, noi di Forza Italia dovremmo tornare a far politica». Appunto, anche Salvini, come in passato Berlusconi, sta scoprendo come i meccanismi della politica italiana siano alquanto complessi. «La differenza tra Salvini e Zingaretti?», si chiede il leghista Edoardo Rixi: «Zingaretti dalla sua parte è la risposta - ha l'apparato e il presidente della Repubblica».
È la scoperta dell'uovo di Colombo, ma molti spesso se ne dimenticano. Tant'è che lo stesso Salvini dopo aver minacciato, tutto e di più, nelle scorse settimane, a 48 ore dalla sentenza è addivenuto a più miti consigli. La proposta del Mattarellum è più o meno l'ultima spiaggia proprio perché il vertice leghista non crede che la Consulta ammetta il referendum sul maggioritario per evitare il ritorno al proporzionale, un sistema che Salvini considera esiziale per un suo possibile approdo a Palazzo Chigi. «Davvero si chiede Giorgetti per paura del terribile Truce Salvini si consegna il paese all'ingovernabilità del proporzionale? Il Truce Salvini non è un pericolo democratico, ma è evidente che serve a giustificare un pasticcio orrendo».
Solo che il leader della Lega forse si è accorto della complessità del Paese troppo tardi. Appare chiaro, infatti, che referendum o non referendum, vittoria o sconfitta nelle elezioni in Emilia, la maggioranza giallorossa ha deciso di fare quadrato sia sul proseguimento di questa legislatura, sia sul ritorno al proporzionale: bastava porgere l'orecchio al dibattito nell'Abbazia di Rieti per averne conferma. «Non credo arriva a dire Graziano Delrio che la decisione della Consulta sul referendum leghista, possa rappresentare, in un senso o nell'altro, un problema. Il Parlamento sta facendo un'altra legge, che è stata incardinata oggi alla Camera, ed è legittimato a farla. L'unico problema per la maggioranza è l'efficacia dell'azione di governo».
L'unico interrogativo è quello, ma l'esperienza insegna che si può fare sempre un rimpasto o un altro governo: ma questo solo, ovviamente, dopo la stagione delle nomine, cioè la prossima primavera. Anche perché il proseguimento della legislatura e l'approdo ad un sistema proporzionale, inevitabilmente metterà in moto dei processi che modificheranno l'attuale geografia politica. Messa al sicuro la legislatura, infatti, tutti si sentiranno più liberi e avranno il tempo - di esplorare nuove strade. «Io annuncia il forzista Antonio Martino ormai mi considero un indipendente di centrodestra pronto all'uso». «Anche noi dovremmo svegliarci congettura l'azzurro Pierantonio Zanettin -, ragionare sulle logiche della nuova legge elettorale. Ad esempio, non sarebbe una bestemmia immaginare di confederare tutto quello che c'è al centro, da noi, passando per Renzi, fino a Calenda».
Sono prolegomeni di un cambio di «fase». Proprio perché per l'attuale maggioranza è difficile, a questo punto, immaginare le urne, può apparire un paradosso, ma può succedere di tutto. «Domani in Commissione Giustizia prevede l'azzurro Enrico Costa i renziani appoggeranno la mia proposta che cancella la legge di Bonafede sulla prescrizione, la maggioranza per non andare sotto dovrà ricorrere anche al voto della presidente grillina che finora non ha mai votato. Alla faccia del presidente imparziale». E lo stesso Renzi si prepara, in questa fase di studio, a verificare la sua consistenza elettorale.
«La Bellanova promette resterà al governo, ma contro Emiliano alle regionali in Puglia metterò in campo una bella candidatura. In Toscana farò una lista in alleanza con il Pd. E qualcosa farò anche in Veneto, Liguria e in Campania. Così finalmente la smetteranno di dire che non servo e valgo solo il 3%!».
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