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Manuale Cencelli sui fondi. "Una maggioranza arroccata"

Il centrodestra denuncia: lotta di potere tra giallorossi sulla gestione degli aiuti mentre il Paese affonda

Manuale Cencelli sui fondi. "Una maggioranza arroccata"

L'unica cosa certa è che stanno litigando su tutto, con buona pace del presidente Mattarella. Per tutto il giorno sono volati gli stracci tra Pd e Cinque Stelle. Conte non solo non riesce a mediare, ma sta provando a relegare nell'angolo la sua stessa maggioranza, di cui peraltro non si fida. I rapporti tra governo e opposizione sono di fatto nulli. Si vedono a distanza e parlano a vuoto. Si è capito che il premier e buona parte dei ministri considera inutili i consigli che arrivano da Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia. Il tavolo di confronto serve solo a salvare la forma davanti al Quirinale. Quando si andrà in Parlamento a votare il pacchetto di norme per soccorrere famiglie e aziende sarà difficile per le opposizioni mettere la faccia su un piano economico improvvisato.

Quello che è accaduto sul «decreto liquidità» è al limite del surreale. La mattina Conte fa un vertice di maggioranza, sospeso dopo due ore di battibecchi. Si aggiornano per il pomeriggio. C'è il consiglio dei ministri, che dovrebbe definire e firmare il decreto. Niente. Altra pausa per cercare un accordo. Si arriva a tarda sera per avere uno straccio di intesa. La questione fondamentale è chi deve gestire i soldi. La Sace è la società, controllata dalla Cassa depositi e prestiti, intorno alla quale ruotano le garanzie dei prestiti alle grande imprese. Le chiavi al momento sono in mano a Fabrizio Palermo, amministratore delegato e direttore generale della Cassa. È in quota grillina. Roberto Gualtieri, ministro Pd dell'Economia, ritiene che spetti a lui controllare la Sace. Il compromesso è da vecchia politica. Alla fine Gualtieri fa da supervisore su una parte del flusso di denaro, ma la Farnesina, cioè Giggino Di Maio, gestirà le garanzie per le imprese che fanno export: 50 miliardi subito e 200 milioni il prossimo anno. La spartizione è fatta. Non sono chiaramente soldi che vanno nelle tasche dei ministri. È controllo, potere, responsabilità sul flusso dei fondi messi a garanzia. È per questo che si battono.

L'opposizione lo ha definito il «manuale Cencelli del salva imprese». È un compromesso frutto di un tira e molla. Ok, voi gestite fino a qui e noi da lì in poi. Non è la scelta più saggia davanti a un Paese chiuso per lutto. La ricostruzione avrebbe bisogno di un piano economico condiviso e di un punto di riferimento certo. Ogni partito di una maggioranza arroccata si sta costruendo il suo feudo di aiuti. Non hanno capito in che tempo stiamo. È il 2020, l'anno della pandemia.

Al momento al Senato, in commissione Bilancio, si sta ancora discutendo del decreto «Cura Italia», quello varato a marzo, quello del primo soccorso. La Lega ha bloccato i lavori. Non si riesce a trovare un accordo. Come fa notare Anna Maria Bernini, capogruppo a Palazzo Madama di Forza Italia, qui c'è il rischio che neppure a fine aprile arrivino i soldi. «Il portale Inps va continuamente in tilt, cassa integrazione e assegni per partite Iva e autonomi sono fermi. Siamo sull'orlo di una crisi sociale».

L'opposizione si trova davanti a una scelta spinosa. La promessa fatta a Mattarella è di appoggiare in Parlamento i piani del governo. L'Italia in un momento del genere non può essere divisa. Diamoci una mano. Solo che Palazzo Chigi non ha cercato l'unità nazionale. I tavoli di confronto si sono rivelati inutili. Tanto valeva scrivere una mail con su scritto «per conoscenza». Si possono votare decreti su cui l'opposizione non è stata neppure consultata? Perché metterci la faccia? Il dubbio è forte. Fratelli d'Italia fa sapere che presenterà 26 emendamenti per ridurre al limite la burocrazia. Se non ne accettano neppure una manciata allora sceglieranno di astenersi. È lo stesso umore che si respira in Forza Italia e nella Lega. Così, dicono, è davvero difficile lavorare. È come sbattere contro un muro. Ogni proposta ha una sola risposta: no.

Non c'è neppure il grazie.

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