Guerra in Ucraina

Mariupol città fantasma. Gli ultimi civili in fuga prima dell'attacco finale

In 160mila cercano di andarsene. I racconti choc: "Mangiamo piccioni e beviamo acqua di fogna". Mosca: "Oggi corridoi umanitari dopo l’appello di Macron e Scholz a Putin"

Mariupol città fantasma. Gli ultimi civili in fuga prima dell'attacco finale

Nikolay ha 73 anni e si aggira tra strade con l'asfalto divelto, tenendo al guinzaglio il suo pastore tedesco. Ha gli abiti consunti, indossa un piumino grigio che in più punti perde l'imbottitura, e con un pezzo di ferro rovista tra le macerie. Ai volontari della Croce Rossa che l'hanno intercettato all'altezza di via Mitskevycha, racconta che sta cercando piccioni. «I fumi delle esplosioni li hanno storditi. Riesco a trovarne due o tre ogni giorno. Io e Annika dobbiamo pur mangiare». Nikolay i piccioni li cucina su un falò improvvisato con mattoni e rami d'albero, poi si disseta in quelli che lui chiama «ruscelli», ma che sono pozzanghere o segmenti di scarichi fognari.


La cartolina di Mariupol, nel giorno della grande fuga, è tutta qui, svuotata di lirismo e carica di orrore. È la città che non c'è più, devastata quotidianamente dai missili russi. E pensare che tutto era cominciato con una fila di persone ai bancomat e con i supermercati in parte zeppi di ogni bendidio. Nei primi giorni del conflitto i negozi erano aperti, e i giovani si trovavano di sera nei pub di Myru Ave, cuore pulsante della movida. Parlavano di ragazze, di serie tv e di quanto Oleksandr Drambayev, la stella del calcio locale, meritasse un posto in nazionale, tentando di esorcizzare il momento d'incertezza davanti a una birra. Poi il 1° marzo sono arrivati i missili «Hurricane», che hanno sventrato case, palazzi, ma anche il Teatro Drammatico e gli ospedali. Mariupol è diventata il simbolo della brutalità dell'orso di Mosca, che sembra non provare pietà di fronte al disastro perpetrato, e che assalta ad ogni ora una città che da giorni non ha più luce, acqua, cibo, e neppure un cimitero per migliaia di vittime. I cadaveri, forse 20mila, sono diventati l'intollerabile arredo urbano. In minima parte hanno ottenuto qualcosa di simile a una sepoltura nell'ex polmone verde dell'Ekstrim Park, oppure in tombe improvvisare tra le aiuole del controviale di Mamina Sybiryaka, una delle arterie principali. È difficile accettare che una città popolata quanto Bologna, che aveva 64 scuole e 86 asili, le tre principali acciaierie nell'est del Paese, un grande porto, parchi di divertimento, cinema e centri commerciali, sia ridotta in macerie. Produceva il 5,5% del Pil dell'Ucraina e ora somiglia a uno spettro agghindato dalla cappa pesante e nera dei bombardamenti e delle rovine ancora fumanti.


Dalle 9 di ieri mattina un corridoio umanitario è stato aperto in direzione di Zaporizhzhia, attraverso il porto di Berdyansk, controllato dalla Russia. Sono i 200 km della speranza, anche di non finire sotto il fuoco incrociato dei cecchini, che scaricano le pallottole dei loro Rpk sulle auto in fuga. Un nuovo convoglio di 17 pullman è partito per Berdyansk e si è diretto a Mariupol, scortato dalla polizia. La colonna si è unita a quella che mercoledì si trovava a Vasylivka con 28 bus, per un totale di 45 mezzi. Oggi quindi sarà una giornata cruciale per trasformare Mariupol da una città assediata a una città fantasma. Più di 200mila persone sono riuscite a mettersi in fuga in queste settimane nelle maniere più rocambolesche. Altri 160mila attendono i pullman della salvezza. Mosca ha autorizzato il corridoio, ma non ha fermato le operazioni militari. Non c'è stato un cessate il fuoco neppure mentre i bus si sono avvicinati alla periferia della città. La vice-premier Iryna Vereshchuk, in collegamento video da Leopoli, scuote il capo. «Che cosa possiamo fare? Non abbiamo un mediatore, non ci sono organi terzi che possano verificare le violazioni».


Mosca ha annunciato per oggi nuovi corridoi umanitari, spiegando che sono stati decisi dopo un «appello personale» a Putin dei leader di Francia e Germania, Macron e Scholz. Ma le evacuazioni - spiegano - «devono coinvolgere l'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e la Croce Rossa internazionale». Eppure ieri persino la Croce Rossa ha avuto difficoltà nel portare sostegno ai civili. «Per questo è disperatamente importante che l'operazione vada in porto - commenta la Vereshchuk - in gioco c'è la vita di migliaia di civili.

Se non li portiamo fuori saranno condannati a morte».

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