
Sono bastate tre ore di discussione franca, pur se pacata, per archiviare il modello renziano del Pd. Ha iniziato lo stesso Maurizio Martina, vicesegretario e quindi reggente, a mettere i sigilli sulla segreteria appena giubilata. Lo ha fatto semplicemente ricordando che ciò che al partito manca è «una risposta globale di sinistra, progressista e democratica a questo radicale mutamento». Insomma sono le idee di sinistra a mancare. Un monito per dire che lo sbilanciamento moderato deve essere corretto. «Non basta più alzare la bandiera della società aperta - ha aggiunto il ministro delle Politiche agricole -. Mentre noi raccontavamo il sogno globale, i cittadini più fragili domandavano protezione». Tra le file della direzione si è ovviamente diffuso subito il dubbio su quale fosse l'intento principale di Martina: la sua è un'analisi impietosa degli errori in campagna elettorale o una reprimenda sulla gestione del Nazareno da parte di Renzi? E il dubbio rimane anche quando fa chiaramente capire che il partito ha, almeno a suo modo di vedere, bisogno di ripartire da una fase costituente. La road map ovviamente è quella prevista dallo statuto (prima l'assemblea nazionale poi il congresso), però dovrebbe da subito sentire il territorio, organizzare assemblee aperte in ogni circolo. «Mettiamo in prima fila la comunità e lasciamo in ultima fila le correnti. E anche la direzione del partito da ora sarà collegiale».
La discussione, dopo l'intervento di Martina (erano 58 gli iscritti a parlare), è scivolata liscia proprio sul tema della rifondazione del partito. Tutti concordi. Andrea Orlando ha fatto anche il bel gesto di promettere la soppressione della sua corrente pur di ridare coesione al partito. Stessa benevolenza l'ha espressa un altro oppositore interno, solitamente tutt'altro che tenero nei confronti di Renzi, il governatore pugliese Michele Emiliano, che si inventa per l'occasione «l'astensione di incoraggiamento». «Abbiamo apprezzato la voglia di unità e collegialità di Martina - dice - per questo collaboreremo con lui, e oggi sulla sua mozione ci asterremo». Una fase nuova insomma è quella che hanno chiesto tutti: da Fassino alla Cirinnà, da Morassut a Zingaretti (quest'ultimo però ha parlato in un circolo del Pd non alla direzione). Gianni Cuperlo, non esce dal coro, però puntualizza alcuni dati che arrivano al cuore del problema e dell'orgoglio ferito. «Per la sinistra è stato il dato peggiore della storia repubblicana - dice -. Se abbiamo perso è anche per un vuoto decennale di identità». Identità che invece il ministro Graziano Delrio rivendica. «Abbiamo sempre scelto di stare dalla parte dei deboli - ribatte - come è naturale che sia per un partito di sinistra». Diversa cosa la questione del modo di gestire questa fase politica. «Intendiamo rispettare il voto di tutti gli italiani - ha spiegato Martina - e saremo coerenti con gli esiti del 4 marzo. Ora tocca a chi ha ricevuto maggior consenso l'onore e l'onere del governo del Paese». In questo caso sembra di sentire lo stesso Renzi che all'indomani del voto ha più volte tuonato contro ogni possibile ipotesi di inciucio, larghe intese o stampelle. E anche i renziani ripetono lo slogan. A cominciare da Emanuele Fiano. Insomma tutto chiaro. Si vota e si applaude. Per la questione della presidenza delle due Camere, beh ci si appella al senso di responsabilità dei vincitori.
Alla fine resta sul tavolo solo la raccomandazione il ministro Orlando. «L'ultima direzione - ricorda - ha creato un vulnus sulla costituzione delle liste. Chiedo come primo atto al reggente di chiamare quelli che non sono stati candidati senza sapere neanche il perché».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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