
Mentre permangono fondati dubbi sulla veridicità delle informazioni diffuse sull'origine del male e sul numero di contagi e vittime, le autorità cinesi aggiornano il bilancio dell'epidemia di coronavirus. Un bilancio che va rapidamente aggravandosi: gli ammalati sono ormai più di 2mila e i morti dichiarati 56. Un'infermiera cinese, citata da Tgcom24, parla di «90mila contagiati». Il focolaio originario di Wuhan e della provincia dello Hubei, dove rimangono in quarantena quasi 60 milioni di persone, rimane al centro di una preoccupata attenzione, basti pensare che vi continuano a essere inviate squadre di medici militari specializzati che sostituiscono quelli civili esausti e meno preparati, e che ben 84 alberghi sono stati destinati ad accoglierli. Il sindaco di Wuhan ha detto che negli ospedali cittadini sono ricoverate 2.200 persone in attesa del test di accertamento del coronavirus, mille dei quali risulteranno verosimilmente infettati. Con la costruzione in corso accelerato di due nuovi ospedali, la megalopoli della Cina centrale disporrà entro fine mese di 10mila posti letto. Ma non è tutto per quanto riguarda Wuhan: risulta che prima della quarantena forzata per gli 11 milioni di residenti, quasi 300mila persone siano riuscite a lasciare la città e che tutte siano state identificate grazie al sistema di identificazione facciale denominato Tian Wang (in italiano «Rete nel Cielo»). Queste persone sono alla macchia, e non è facile rintracciarle: rischiano 7 anni di prigione.
Le gigantesche città cinesi, da Pechino a Shanghai a Tianjin a Guangzhou, offrono un surreale spettacolo di strade vuote e autobus che girano senza quasi passeggeri a bordo: la gente è stata invitata a rimanere in casa per limitare il contagio, e ha paura. Lo hanno dimostrato ieri anche le scene di attacco da parte di una folla rabbiosa e spaventata all'edificio di Hong Kong che le autorità locali hanno destinato all'isolamento dei malati. Vengono imposte, a partire dalla stessa capitale, sempre nuove limitazioni: dal trasporto e commercio di animali selvatici (ritenuti l'origine della malattia) al rinvio del rientro degli studenti a scuola e nelle università dopo le festività del Capodanno cinese, dai controlli della temperatura corporea ai passeggeri dei treni in 387 stazioni alla chiusura pura e semplice di 72 (finora) linee ferroviarie e di sempre più numerose tratte di pullman a lunga percorrenza. Perfino il Potala, palazzo simbolo del Tibet rimasto immune dal contagio della polmonite virale, è stato chiuso per precauzione.
Ieri il Centro di prevenzione e controllo delle malattie di Pechino ha annunciato che il primo ceppo del virus è stato isolato e che si comincia a lavorare per un vaccino. Ma i tempi sono lunghi. Fonti mediche cinesi prevedono che il picco dei contagi arriverà alla fine di marzo, per poi iniziare a declinare fino a una sperata fine dell'epidemia prima dell'estate. Questo sempre che non si assista a imprevisti aumenti della capacità del virus di diffondersi, o alla sua temuta mutazione, di cui per ora non v'è traccia. Il virus, denominato Sari, sembra essere in realtà una versione meno potente di quello della sindrome Sars che nel 2003 fece migliaia di morti in Cina. Al momento uccide non più del 4% degli ammalati, addirittura meno di quello dell'influenza: ma la sua grande pericolosità risiede nel lungo periodo di incubazione (fino a 14 giorni) e nella possibilità di annidarsi anche in persone che non si ammalano ma ne diventano portatori sani, contagiando «al di sopra di ogni sospetto». Questo moltiplica enormemente il rischio di diffusione e innalza i numeri delle potenziali vittime.
«Ci appare che la capacità di diffusione del virus si stia rafforzando» ha spiegato poi Ma Xiaowe, ministro della Commissione sanitaria nazionale di Pechino. Il pericolo principale deriva dall'affollamento e dai contatti interpersonali, da cui la necessità delle mascherine (sufficienti a fermare la saliva in cui c'è il virus) e le maxi quarantene.