Roberto Fabbri
La Turchia fa trapelare (e il Washington Post lo ha pubblicato) di disporre di prove audio e video che dimostrerebbero in modo inequivocabile che Jamal Khashoggi è stato picchiato, torturato e infine assassinato all'interno del consolato saudita a Istanbul. Una documentazione agghiacciante, viene assicurato da Ankara, che però è restia a metterla a disposizione: teme infatti che così facendo vengano alla luce i suoi metodi poco ortodossi per procurarsi filmati e registrazioni presso missioni diplomatiche.
Il cerchio si stringe intorno alla dirigenza dell'Arabia Saudita, obbligando il suo super alleato Donald Trump a esercizi di equilibrismo: da una parte la condanna della violenza esercitata dal potere su un intellettuale dissidente (che oltre tutto collaborava con un giornale americano, il Washington Post) e la pretesa di chiarimenti, dall'altra la tutela dell'alleanza di altissimo valore strategico e commerciale con Riad.
Ma se gli Stati Uniti scelgono la Realpolitik, lo stesso non vale per molti altri Paesi e aziende internazionali, che cominciano a boicottare iniziative saudite anche di massimo rilievo: troppo forte lo choc delle terribili notizie provenienti da Istanbul, troppo imbarazzante pretendere che il massacro in una sede diplomatica all'estero di un giornalista scomodo per il regime possa essere derubricato a questione interna dell'Arabia Saudita. Così la Future Investment Initiative, organizzata dallo stesso principe ereditario (e leader di fatto del Paese) Mohammed bin Salman, sta perdendo uno dopo l'altro i suoi ospiti più importanti del mondo della finanza e della tecnologia. E questo nonostante il fatto che questi personaggi rappresentino realtà generosamente finanziate dal fondo sovrano saudita che partecipa all'organizzazione dell'evento, in programma dal 25 al 27 ottobre.
Tra i nomi più altisonanti, defezioneranno gli Ad di Uber e di Viacom, mentre Virgin annuncia la sospensione di negoziati per iniziative del valore di un miliardo di dollari con Riad. Testate come il New York Times, il Financial Times e la Cnn, inoltre, si sono ritirate da sponsor mediatico: scelta logica se si ricorda che Khashoggi è un giornalista. Conferma invece la sua partecipazione il segretario al Tesoro Usa, Steve Mnuchin.
Anche Francia e Germania, che hanno con l'Arabia Saudita legami strategici e commerciali molto forti, chiedono a Riad piena cooperazione alle indagini in corso a Istanbul. Una squadra di investigatori è effettivamente partita da Riad ed è già arrivata ad Ankara per collaborare con la polizia turca, e oggi ci sarà una prima riunione operativa. Ma da qui a immaginare che si arrivi a una sincera collaborazione ce ne passa. I sauditi, infatti, continuano a sostenere che Jamal Khashoggi sia uscito vivo dal consolato lo scorso 2 ottobre, tesi che avrebbe ribadito lo stesso principe «MbS» in una telefonata con il genero e consigliere di Trump Jared Kushner.
Una tesi su cui sembra sempre più difficile insistere. Le fonti turche e americane parlano soprattutto di registrazioni audio «con dettagli raccapriccianti»: vi si sentirebbe la voce di Khashoggi e quella delle persone che lo interrogano in arabo, lo picchiano tanto violentemente che si sente il suono dei colpi, lo seviziano e infine lo uccidono.
Ultimo sinistro
dettaglio: prima di proporre alle autorità turche un'ispezione congiunta del consolato, la delegazione saudita giunta a Istanbul ha fatto arrivare un furgone di una ditta di pulizie. Legittimo chiedersi cosa abbia trovato.
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