Sorrisi, toni bassi, cordialità. Ma il presidente è piuttosto irritato e quando arriva Giuseppe Conte glielo spiega senza troppi giri di parole. Basta chiacchiere, gli dice, smettetela con questo scaricabarili sull'Ilva. Fate qualcosa e fatela presto. Subito. «Il Paese non può permettersi queste crisi industriali». In ballo non c'è solo la tenuta economica italiana, c'è pure il destino di operai, famiglie, una città.
Il premier sale sul Colle in tarda mattinata, alla ricerca di conforto, sponde e magari qualche buon consiglio per uscire dal baratro nel quale sta lentamente sprofondando. Invece trova i rimproveri di un Sergio Mattarella rigido, determinato. Una classica lavata di capo, il cui succo si può riassumere così: siete al governo, governate, non sarò io a risolvere le vostre diatribe interne. Piuttosto, avverte, occorre intervenire urgentemente sui problemi reali dell'Italia. Problemi gravi, come l'acciaieria di Taranto, che rischia la fine. Il Quirinale è «preoccupato per le sorti dell'Ilva» e anche «delle altre crisi aziendali», l'Alitalia ad esempio, e chiede a Conte di darsi una mossa. «Il governo deve trovare delle soluzioni rapide perché l'occupazione e una questione importante in questo Paese». Forse, la questione.
Palazzo Chigi deve quindi cambiare passo. Chiamato a rapporto sul Colle, il presidente del Consiglio riferisce «dei suoi colloqui di ieri con la proprietà ArcelorMittal» e «delle misure che possono essere messe in atto per trovare una soluzione alla crisi». Il capo dello Stato però non vuole entrare nei dettagli, chiede soltanto di agire. Non sta a me, dice, indicare la strada giusta, favorire una scelta o l'altra. Non è compito del capo dello Stato prendere decisioni politiche. Tanto più che sul futuro del polo siderurgico il governo appare quanto mai diviso. I Cinque stelle, o una buona parte di loro, gli estremisti della decrescita industriale, sono per la difesa a oltranza dell'ambiente: se si chiude, pazienza. Pd e Iv invece vorrebbero salvare l'Ilva. Ma come? Qualcuno pensa di ricucire con la multinazionale franco-indiana, qualcun altro chiede di riassegnare l'appalto. Qualcuno vuole reintrodurre lo scudo giudiziario, altri dicono che non se parla nemmeno. C'è pure chi propone di rinazionalizzare. Un guazzabuglio di posizioni nelle quali il Quirinale non intende entrare. «Non spetta a noi fare la sintesi».
Ecco, «fare la sintesi», cioè decidere, toccherebbe a Palazzo Chigi. Sarebbe il lavoro di Conte, quello per cui ha ottenuto la fiducia del Parlamento. Peccato che, ad appena due mesi dal via, la maggioranza giallorossa stia già dando evidenti segni di cedimento strutturale. Si litiga su tutto e si litiga tutti contro tutti, su qualunque tema. E pure su questo punto, Mattarella non vuole offrire coperture: certo, il capo dello Stato è preoccupato per la tenuta del governo e non vuole una crisi, soprattutto adesso, con la Finanziaria aperta, la crescita che non decolla, l'Europa che ci critica e i mercati sempre in agguato. Senza dimenticare, appunto, le crisi industriali.
Ma preoccupato non significa angosciato. A Mattarella, fanno sapere, sta a cuore il domani dei lavoratori di Taranto, di quelli dell'Alitalia e delle altre imprese in bilico, non il futuro della coalizione. La riottosità della maggioranza? L'incapacità di stare insieme? Affar loro. E se il gabinetto Conte, come ripetono dal Colle, «non è il governo del presidente», sicuramente è l'ultimo della legislatura.
Se cade, si torna alle urne perché il capo dello Stato non sembra disposto a un altro esecutivo «sperimentale». Ma al di là delle divisioni interne, i giallorossi possono contare ancora su un collante fortissimo. La paura del voto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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