Seduto in poltrona nel salotto del Torrino, le bandiere sullo sfondo, una triste stella di Natale alle spalle, che fa tanto portierato. Sull'ambientazione bisogna ancora lavoraci su, il messaggio invece è chiaro e diretto. Votare? No, ora non si può, non c'è una legge, non c'è armonia tra il sistema elettorale della Camera, fortemente maggioritario, e quello del Senato, completamente proporzionale. «Ho ricevuto molte lettere - spiega il capo dello Stato - e non c'è dubbio che alle volte ridare la parola ai cittadini è la strada maestra». Ma adesso no: «Con regole contrastanti tra loro portare gli italiani subito alle urne sarebbe poco rispettoso nei loro confronti e contro l'interesse del Paese, con un alto rischio di ingovernabilità». Non c'è nemmeno il clima giusto. «Troppo odio politico».
È il secondo discorso di Capodanno da quando è al Colle. Sergio Mattarella parla poco, meno di venti minuti, con un tono rassicurante, ricordando Giulio Regeni, Fabrizia Di Lorenzo e Valeria Solesin. Terrorismo, terremoto, disoccupazione, un referendum dilaniante, la crisi di governo. Il 2016 non è stato un anno facile, la Nazione «ha sofferto». Qualcuno, molti, volevano tornare al voto. Il presidente non chiude del tutto la porta, stavolta non ricorda le scadenze internazionali, non considera obbligatorio arrivare alla fine della legislatura. Ma indica una condizione, una riforma elettorale. E non basta aspettare la sentenza della Consulta sull'Italicum, attesa a fine mese. La parola è al Parlamento: se le Camere si daranno da fare, se matureranno le condizioni politiche, lui scioglierà. Del resto, racconta, «l'esigenza di un nuova legge mi è stata sottolineata durante le consultazioni da tutti i partiti e i movimenti presenti in Parlamento». Compresi quelli che ora reclamano di dare subito la parola alla gente.
Mattarella è preoccupato. Il terrorismo, certo, l'illegalità, la gestione degli immigrati, la situazione economica delle famiglie. Ma «c'è un altro nemico della civile convivenza, non nuovo e in preoccupante ascesa, l'odio e la violenza verbale come strumenti della lotta politica: quando penetrano, si propagano nella società, intossicandola». È la questione delle bufale telematiche. «Il web consente di dare a tutti la possibilità di una libera espressione e di ampliare le proprie conoscenze. Internet è una grande rivoluzione democratica che va preservata da chi vuole trasformarlo in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi». A Beppe Grillo fischieranno le orecchie.
Servono toni bassi e coesione nazionale, l'Italia ha già troppi guai. Su tutti, la disoccupazione. «Il problema numero uno - dice ancora il capo dello Stato - è il lavoro. È una questione di dignità. Se per gli adulti è insufficiente, sovente precario, talvolta sottopagato, lo è di più per voi giovani». C'è spazio per correggere la gaffe del ministro Poletti. «Molti di voi studiano o lavorano in altri Paesi. Questa è spesso una grande opportunità, ma deve essere una scelta libera. Se si è costretti a lasciare l'Italia per mancanza di occasioni, diventa una patologia a cui occorre porre rimedio. Chi decide di espatriare merita, sempre, sostegno e rispetto. È se non si riesce a riportare indietro l'esperienza maturata all'estero, viene impoverita l'intera società».
Il lavoro è dunque il «primo fronte», il primo compito nell'agenda del governo Gentiloni, il primo «orizzonte» per evitare altre fratture sociali: nord-sud, città-paesini, centro-periferia. Micce pronte ad esplodere. Abbiamo una crescita «in ripresa» però «debole» e di «impatto non ancora percepito.
Mentre aumenta l'obbligo di «contrastare con fermezza» la corruzione, l'evasione fiscale, l'illegalità, i nostri vecchi vizi. Per fortuna la fotografia del 2016 documenta anche momenti positivi. Un esempio, la solidarietà scattata spontaneamente il giorno dopo il terremoto. Siamo un grande Paese, ce la possiamo fare.
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